A digiuno di conoscenze adeguate per redarre articoli di interesse tecnico, continuo a dare contributi di altra natura, della serie l’importante è partecipare. Appartengo come avrà capito chi mi conosce un minimo, al nutrito gruppo di chi s’è avvicinato a questa passione seguendo il richiamo di qualcosa che va oltre la semplice ricerca del buon suono e delle finezze elettroniche. Dietro a questo mondo di valvole, transistor e diffusori esiste a mio avviso qualcosa di più profondo e contagioso, forse non per tutti, ma sicuramente per me e i tanti in cui mi riconosco.
Dopo un resoconto del nostro primo meeting di Pomposa , due articoli di restauro per principianti che ci provano Music boy 200 e Geloso G255 ed uno riferito alla serie dei diffusori audioprisma da tempo ho in cantiere qualcosa di completamente diverso.
Percorso credo ampiamente condiviso il mio. Catturato dalla novità e dalla grande curiosità ho avuto la mia fase di scoperta iniziale seguita da quella di ricerca e di acquisto. Prima con gli occhi, poi anche con mani e orecchie ho avuto modo di saggiare diversi apparecchi, vuoi sfruttando le occasioni di incontro con parte di voi, vuoi acquistandone alcuni. Tutto questo percorso è stato accompagnato da grande emozione, soddisfazioni, delusioni, confronto con altre persone, nascita di amicizie. Inevitabilmente mi sono posto delle domande ed ho cercato di comprendere per quanto possibile la natura di certo coinvolgimento.
Insomma ritornando alla partenza, nulla di interessante sotto il profilo tecnico, ma uno stimolo alla riflessione, questo lo scopo dell’ articolo. Sul rapporto con gli apparecchi che popolano questo nostro mondo, sui motivi che ci spingono a comprarli, a volte in modo compulsivo, o al contrario inseguendo schemi ben precisi.
Riuscirò a stimolare interesse? Difficile prevederlo, ma sinceramente qualche buon germe penso di potervelo trasferire, decidete voi se piantarlo e vedere cosa ne salta fuori.
In apertura dell’articolo relativo al restauro della radio music boy 200E, accennavo brevemente al concetto di COSA ed OGGETTO ed ai rapporti che instauriamo con essi. Mi proponevo in un futuro, speravo breve, di approfondire l’argomento. I tempi come supponevo, si sono dilatati, del resto occorreva non solo fare mente locale, ma anche documentarsi un minimo, per cercare di comprendere meglio.
In questa brutta giornata estiva ad Amsterdam, al riparo nel mio camperino crivellato dalla pioggia, ho sicuramente il tempo per iniziare a buttare giù due righe ed organizzare le idee.
Tutto inizia circa due anni fa, dopo la morte di mio padre che seguiva quella di mia madre, avvenuta anni prima. Come succede in queste circostanze, mi ritrovai a girare tra le mura della casa di famiglia nella quale da tanti anni non vivo più, essendomi spostato in altra città e regione. Vagando da stanza a stanza, aprendo cassetti, armadi, scatole ormai dimenticate, alla ricerca di ricordi della mia giovinezza e della vita andata dei miei genitori.
Ho vissuto la mia infanzia negli anni 60/70 ed 80, telefono col rotellone che nei ricordi più lontani non era neanche in casa, si andava al bar il fine settimana e nel silenzio anecoico di una cabina chiamavamo i nonni e parenti per fare i saluti di rito e sentire come stavano. Di internet ovviamente neanche l’ombra. Quando nasceva l’interesse per qualcosa, cominciava la lunga ed oggi definirei penosa ricerca. Assalivo i libri di casa, quasi sempre inutili e poi passavo alle riviste specializzate e libri in biblioteca, addirittura ricordo che mi riducevo a guardare la guida tv per vedere se era in programma qualche documentario che avesse attinenza con l’argomento.
Oggi nulla è più semplice ed immediato, ti colleghi alla rete e trovi quello che vuoi. Ricordo una volta, le circostanze no, mi prese la fissa dei carriarmati. Ero decisamente piccolo, ma era una voglia enorme di approfondire, di quelle che solo un bambino può veramente comprendere. Come fosse ora mi rivedo ad aprire le enciclopedie ed alla fine gioire per aver trovato solo poche foto, ma pur sempre qualcosa. Oggi se mi prendesse la fissa per i carriarmati, non avrei neanche il tempo di leggere tutto quello che potrei trovare in rete, dei carriarmati comunque non me ne frega più niente…un vero peccato!
Lo chiamo spartiacque del vintage. Prima sei totalmente proiettato in avanti, quasi hai paura di guardarti dietro e rifiuti tutto ciò che è passato, vivendo nella sicurezza che tutto quello che viene dopo sia meglio di quello che c’era prima, poi con gli anni e la maturità impari a valutare le cose in base al loro valore e non basandoti su falsi parametri di moda o tradizione, insomma capisci che la verità sta nel mezzo e che bisogna saperla cercare.
Arriva un giorno in cui non ti disturba più guardarti alle spalle, anzi diventa necessario o se preferite, come in ‘Le relazioni pericolose’ (se non avete letto il libro, forse avete visto il film):”trascende ogni mia volontà”.
Comincia tutto senza che te ne renda conto, magari semplicemente ti capita di ricordarti di uno sceneggiato RAI che ti ha fatto morire di paura, per alcuni sarà stato ‘Belfagor il fantasma del Louvre’, per me ‘Ritratto di donna velata’.
Fai una ricerca su internet e riesci a rintracciarlo. Con grande emozione lo riguardi e con altrettanta grande delusione ti rendi conto che di spaventoso proprio non è rimasto nulla. Sei deluso, ma cerchi ancora, perchè come dicevo, trascende ogni tua volontà e scovi una produzione che non hai mai visto: ‘Il segno del comando’ e questa volta ti rendi conto che vederlo ne è valsa la pena e provi qualcosa di diverso da quello che si può provare davanti ad un film super tecnologico magari in 3D, qualcosa che quel film di ultima generazione, nonostante i costi esorbitanti non è in grado di darti.
I ricordi sono fatti di vista, ma anche di udito e concorderete con me di olfatto, anzi udito e olfatto prima ancora che di vista. I miei ricordi più coinvolgenti sono legati proprio a orecchie e naso. Il profumo dei tigli in fiore ad esempio su di me ha un potere evocativo struggente. Non è un caso che alcune delle emozioni più forti si provino ascoltando le sigle di apertura e coda di vecchi programmi visti durante l’infanzia, più ancora che seguendo lo svolgimento degli stessi. L’amico Luca Righi in uno dei suoi bellissimi articoli, ha riportato alla memoria la serie tv ‘attenti a quei due’, ricordo che adoravo quei telefilm, beh non so come la pensiate, ma tutto è in quella sigla magistralmente composta da John Barry, il telefilm, qualsiasi puntata della serie ormai risulterà leggerina, ma la sigla…quella ha ancora tutta la sua potenza evocativa e la manterrà per sempre.
Prima o poi tutti arriviamo allo spartiacque del vintage, credo siano poche le eccezioni. Quando ci arrivi, la brutta notizia è che stai invecchiando, quella bella è che tutto questo potrebbe piacerti.
Ho sempre ascoltato musica, ma non ho mai fatto particolare attenzione alla qualità del suono che ascoltavo, se non in modo molto superficiale. Nel 1978 rimasi folgorato, in buona compagnia direi, dal suono di un gruppo che da li a poco avrebbe conquistato il mondo, esaurendosi poi con la stessa velocità con cui era riuscito a farlo. Il batterista era irresistibile, tecnicamente meno dotato di tanti altri, ma forse il più originale di tutti i tempi, impossibile non riconoscerlo all’istante, impossibile non prendere la prima cosa che potesse anche lontanamente assomigliare ad una bacchetta e non distruggere il divano nell’impacciato tentativo di ripetere certi passaggi. Ragazzi ho ancora nelle orecchie il suono del bracciolo del divano in velluto, sotto i colpi dei listelli per rilegare i fogli delle relazioni scolastiche. Le mie prime bacchette.
In questo modo iniziò il mio amore per la musica, prima di allora erano Tozzi e Rockets, poi finalmente Police , Weater Report e compagnia bella, ma come dicevo tutto era spostato sul contenuto e poco sulla qualità acustica di quello che ascoltavo.
In ogni casa, penso con poche eccezioni, si trova un impianto per l’ascolto della musica e vista la tendenza soprattutto in passato a conservare, riparare e non buttare e sostituire alla prima occasione, frutto anche di criteri costruttivi ben diversi rispetto al periodo attuale, con facilità nel salotto di casa o in cantina, si possono trovare vecchie apparecchiature. Così è stato anche a casa mia. Nato a metà anni sessanta mi sono ritrovato ad ascoltare musica con apparecchi Grundig ceduti ai miei genitori dal nonno, per molti anni, fino a quando, vittima io stesso del nuovo che avanza, ho pensato di sostituirli con quelli degli anni ottanta, nulla di così evoluto da surclassare quelli del passato, ma sicuramente più in linea con le nuove mode ed estetica. Oggi mi ritrovo a valutare la musica sotto il doppio aspetto dei contenuti e della qualità sonora, a quei tempi ricordo che per me bastava veramente poco per credere di ascoltare della musica ben riprodotta. Partendo da questi presupposti, i nuovi giapponesi entry level erano sicuramente meglio dei precedenti Grundig, soprattutto se la conferma veniva da miei coetanei. Ricordo comunque una fase di transizione in cui i cd non esistevano ancora, ero un batterista in erba e sentivo chili di vinile fusion e blues prestati dagli amici, proprio sul PS1, il glorioso Dual 1019, mio coetaneo (anno 1967). Ampli e casse erano già state sostituiti con Pioneer e Bose di basso livello, ma il piatto resisteva. Poi la Shure non ne volle più sapere e visto che avevo un secondo piatto ereditato dal nonno, un Pioneer PL400, anche lui fu accantonato.
Che valore hanno, ora mi chiedo, quegli apparecchi. Vi siete mai chiesti quale valore reale possano avere le cose/oggetto che riempiono le stanze delle case dei nostri genitori e della nostra infanzia? Non mi riferisco solo alle apparecchiature per l’ascolto della musica.
Spesso converrete con me, nessun valore materiale, spesso sono addirittura cose orrende, ma qualcosa ci impedisce di liberarcene. Siamo cresciuti avendoli vicini, sono magari il dono di persone che sono state importanti o semplicemente sono stati tramandati di generazione in generazione, insomma non sono solo oggetti materiali, sono veicoli di molto altro, sono appunto delle COSE.
Ricercando in rete qualche testo che mi permettesse di chiarire i sentimenti anche tumultuosi che spesso vivo guardando, toccando, anche annusando oggetti appartenuti alla mia famiglia ed al passato in generale, mi sono imbattuto in un libro decisamente interessante. L’autore è Remo Bodei. Non proprio un romanzetto che scivola veloce e sicuramente prende in considerazione concetti che vanno ben oltre quelli di nostro interesse, ma indubbiamente m’ha aiutato ad innescare tutta una serie di riflessioni costruttive. Queste riflessioni voglio condividere con voi. Premetto che tutto quello che scriverò, non ha alcuna pretesa di essere verità assoluta e non va inteso in altro modo che come il risultato di un percorso assolutamente personale, sicuramente perfettibile e comunque non per forza sovrapponibile a quello di altre persone.
Detto questo comincerei col chiarire in partenza quello che è il concetto fondamentale, ovvero la distinzione tra OGGETTO e COSA. Apparentemente nessuna visto che sono termini perfettamente interscambiabili nel linguaggio corrente, almeno in molte situazioni eppure… non hanno esattamente lo stesso significato! Prima di andare oltre con la lettura, provate a ragionarci un pó.
Che differenza esiste. Arriverete alla conclusione che Il termine COSA ha un ben più ampio spettro di utilizzo.
Cerco di essere il meno palloso possibile, tuttavia concedetemi alcuni riferimenti anche se edulcorati, in quanto fondamentali per comprendere il tutto.
In italiano la parola COSA, deriva dalla parola latina CAUSA. La causa ha un significato ben preciso: qualcosa di estremamente importante e la frase “combattere per una causa” la dice lunga in proposito, molte persone hanno dato la propria vita per una causa (giusta o sbagliata che fosse).
La parola OGGETTO invece, termine ben più recente, ha a che fare col termine OBICERE, gettare contro, porre innanzi. In questo caso c’è una sfida, una contrapposizione con quanto permette la nostra affermazione, qualcosa che “obietta” con la nostra pretesa di dominio. Insomma con l’oggetto si crea uno scontro che termina con la sopraffazione dello stesso…con il possesso dello stesso.
Detto questo è evidente che il significato di COSA, ben più ampio di quello di OGGETTO, comprende anche persone ed ideali e tutto quello che sta a cuore.
Facciamo un esempio semplice tra i tanti: se mi trovo davanti un libro ed una caffettiera, posso indistintamente dire che non sono la stessa cosa, oppure che non si tratta dello stesso oggetto. Se invece devo confrontare una giornata in compagnia di persone a me gradite ed una tra la bolgia di un centro commerciale, potrò dire che non sono la stessa cosa, ma non che non sono lo stesso oggetto. Ancora, avete presente la frase ‘tante belle cose’?
Limitiamoci comunque ai beni materiali, perché questo è il campo di interesse al momento.
Facciamo un passo avanti in questo nostro discorso, abbiamo mi sembra chiaramente compreso che oggetto e cosa hanno significati non sempre sovrapponibili. Nella realtà siamo circondati da oggetti e questi oggetti possono o meno diventare delle cose, lo diventano nel momento in cui su di loro gli individui, la società, la storia, proiettano sentimenti, affetti, simboli. Gli oggetti invece restano semplice merce di scambio, uso o espressione di uno status symbol.
Siamo quindi noi a caricare di significato un oggetto e trasformarlo in cosa, a renderlo fonte di desiderio, a dargli senso e qualità sentimentali. Insomma le cose a differenza degli oggetti sono cariche di tracce umane. Quanto mi piace questa cosa ragazzi, tracce umane! Ogni oggetto trasformato in cosa ha una storia e un significato mescolati a quelli delle persone che li hanno utilizzati e amati. Fate mente locale e sarà molto più semplice per quelli della mia generazione ed ancora di più per quelli della precedente: ricordate l’orologio? Quell’oggetto che in realtà ora trovate ovunque tranne che al polso? Spesso veniva tramandato da padre a figlio ed era il risultato del lavoro manuale di un artigiano, non di una catena di montaggio. Questo già lo rendeva un oggetto evoluto a cosa, visto che con se portava molte altre cose non strettamente legate al solo fatto di fornire l’ora del giorno. Ad esso erano legate tutta una serie di operazioni che a loro volta univano il possessore allo stesso: non bastava guardarlo e basta come succede oggi. Occorreva regolarlo, ricaricarlo a mano, dedicargli del tempo per la pulizia, alla sera aprire il cinturino (quando fu inventato) e riporlo sul comodino, per poi rimetterlo al polso la mattina successiva. Insomma esistevano una sorta di rapporto e di gesti anche rituali che ora si sono completamente persi. Nel nostro tempo quasi tutto si regola in automatico e casomai sempre più spesso basta un comando vocale, eppure io trovo fantastico aprire uno sportellino, estrarre uno strumentino appositamente studiato e regolare la sintonia di una stazione da memorizzare nel mio receiver, oppure accendere un giradischi, pulire il vinile, attendere rapito il movimento del braccio che si sposta e cala lentamente sopra il solco.
Ricordate? Così uniamo il serio al faceto.
Torniamo per un attimo alle cose pallose (per pochissimo eh!). Bene o male è capitato a tutti di leggere qualcosa riguardante la ‘carica libidica’ ed ‘elaborazione del lutto’. Parliamo di Freud, lo avete capito. In soldoni la carica libidica altro non è che un’investimento affettivo e l’elaborazione del lutto, una fase necessaria al superamento della perdita e di un nuovo investimento affettivo. Ok, una specifica forma di elaborazione del lutto, che coinvolge anche le cose, ha luogo quando si fa l’inventario di ciò che resta nella casa dei propri genitori, dopo la loro scomparsa. Ecco il mio vagare tra le stanze di casa. Facciamo il censimento dei loro passati investimenti affettivi incarnatisi in oggetti che avevano significato per loro e non (o non ancora) per noi. Sono oggetti transizionali su cui dirottare l’attenzione cercando di lenire il dolore della perdita.
Esiste, in generale, un’enorme quantità di oggetti orfani, abbandonati dai loro precedenti proprietari, che siamo chiamati ad adottare, rifiutare o ignorare. Spetta a noi decidere. Essi passano di mano e la loro vita può continuare anche dopo la morte o la lontananza di chi li custodiva. Attraverso i testamenti, gli acquisti come nel nostro caso su ebay o altra via o il semplice rinvenimento, essi diventano anelli materiali di continuità tra le generazioni, qualcosa di cui si può godere a turno: gli oggetti da questo punto di vista, possono vivere parecchie volte.
Ogni generazione è circondata da un particolare paesaggio d’oggetti che definiscono un’epoca. A modo loro, gli oggetti crescono o deperiscono, come i vegetali e gli animali, si caricano di anni o di secoli, vengono seguiti, accuditi, curati oppure trascurati, dimenticati e distrutti.
Diventati desueti, finiscono nei solai, nelle cantine, nel banco dei pegni, nei negozi dei rigattieri e degli antiquari, nelle discariche…nelle case di famiglia nelle quali non viviamo più. Ritrovati o comprati, emanano un effluvio di malinconia, somigliano a fiori svampiti che per rinascere hanno bisogno delle nostre attenzioni. Ditemi che non è così, compriamo o rispolveriamo i nostri amati apparecchi consapevoli che gli anni di utilizzo o inutilizzo e l’eventuale poca cura dei vecchi proprietari, ne richiederà un controllo accurato ed affidiamo a Marco i nuovi arrivati, o se ne siamo in grado, con ancora maggior soddisfazione, il controllo accurato, lo facciamo noi, sapendo che stiamo dando loro nuova vita.
Siamo inguaribili nostalgici ed in questo trasformare semplici oggetti in cose, risvegliamo memorie passate. In tutto questo vedo qualcosa di estremamente bello, a patto di non fuggire dalla realtà entrando in una dimensione parallela e dissociata. L’approccio più sano e costruttivo resta sicuramente quello di non limitarsi unicamente a rimpiangere quello che è stato e s’è perduto, qualcuno la chiama ‘nostalgia chiusa’, una nostalgia che si ripiega su se stessa, ma quello di coltivare una ‘nostalgia aperta’ che fortunatamente vedo per la maggiore anche nel nostro gruppo di appassionati e cioè un vero e proprio viaggio di scoperta nel passato, con un occhio sempre rivolto al presente e futuro.
I vecchi apparecchi Grundig rinvenuti in casa e come loro molti altri degli stessi anni, anche non necessariamente di proprietà della famiglia, ben si prestano alla trasformazione da oggetti a cose.
Perchè ci si potrebbe tuttavia chiedere, diventa così importante e facile farlo con oggetti così, concedetemi il termine, sorpassati.
La risposta è semplice: oggi diventa sempre più complicato incorporare significati e ricordi negli oggetti fortemente deperibili che popolano la nostra esistenza. L’imperativo è quello di durare poco ed essere al più presto sostituiti. La produzione in serie che spesso si accompagna a perdita di qualità ed a minor durata è evidente che non ne agevola la collocazione nei quadri della memoria. Un tempo uno dei caratteri fondamentali degli oggetti era la durata, la permanenza. Gli oggetti venivano tramandati da generazione in generazione, poi tutto è lentamente cambiato ed abbiamo cominciato a sopravvivere ai nostri oggetti e se ci pensate bene non solo per deterioramento che comunque è voluto, nel senso che se gli oggetti vanno sostituiti, bene o male devono rompersi e non essere riparabili se non a caro prezzo, ma per obsolescenza, sostituiti da oggetti più avanzati o presunti tali. Questa è la società dei consumi che per far sopravvivere se stessa è costretta a distruggere gli oggetti durevoli. Non esiste più la scomparsa lentissima, ma una perdita violenta degli oggetti. I mezzi adottati da questa società consumistica sono il semplice gusto acquisitivo e lo shopping compulsivo, che ci spingono solo a possedere semplici oggetti e non cose.
Chiedetevi se provate amore per i vostri apparecchi, perchè altrimenti si tratta solo di bulimia acquisitiva. Mi capita a volte, di leggere considerazioni di chi sembra avere interesse a possedere oggetti solo per il semplice fatto che questi sono desiderati da altri, pare che lo scopo non sia tanto quello appunto di ridar vita all’oggetto stesso, innalzandolo al ruolo di cosa, ma semplicemente quello di, ripeto: possedere quello che altri desidererebbero. Il possesso, come ho detto prima ha a che fare con l’oggetto e tale oggetto, merce, non sarà mai caricato di valore aggiunto.
Quello che ho avuto modo di osservare nell’ultimo anno e mezzo di frequentazione di questo ambiente vintage/musicale è una doppia possibilità di movimento. La prima è quella dell’effettiva ricerca di oggetti che abbiano le carte in regola per essere promossi a cose, assolvendo poi alle funzioni per cui sono state create, la seconda quella invece di accumulare oggetti che in verità rimarranno semplici merci da magazzino o di scambio, senza essere mai veramente caricate di valore aggiunto. Questo secondo approccio alla fine non è assolutamente dissimile da quello tipico dei nostri tempi, semplicemente l’oggetto è vecchio e non nuovo, ma cosa cambia in sostanza! Alla fine accumuliamo oggetti che dimentichiamo da qualche parte o di cui ci liberiamo in breve tempo.
Un’ultima riflessione va fatta, in base a quanto detto, solo oggetti del passato possono ancora trasformarsi in cose? Assolutamente no. L’oggetto prodotto in modo artigianale, con maestria tecnica ed un occhio attento alla qualità, ha le carte in regola per raggiungere livelli di eccellenza. Mi sembra evidente che un oggetto creato in esemplare unico e magari su commissione sia il un candidato perfetto in tal senso.
Facciamo però un’ulteriore passo in questo ragionamento. Proprio vero che gli oggetti frutto della produzione in serie odierna debbano restare relegati al ruolo di semplici oggetti/merce? Veramente impossibile caricare di significati superiori ed affettività questi oggetti? Anche in questo caso credo si arrivi alla conclusione che no, non sia vero, ma quello che cambia è la modalità ed i tempi. Gli oggetti oggi diventano generalmente cose, grazie alla pubblicità che proietta sulle merci qualità fantasmatiche, basandosi sui desideri di specifici target di popolazione, desideri purtroppo spesso creati dalla stessa pubblicità.
Bene ragazzi, se avete seguito con un minimo di attenzione questi ragionamenti, sono sicuro che se ne innescheranno molti altri. Si apre un mondo affatto semplice che spesso cade anche in contraddizione e crea non poca instabilità. Nel mio caso mi sono trovato spiazzato da una serie di “ma allora”, “forse però”,”ma siamo certi che”…
Avevo ad esempio da tempo maturato la convinzione che esistesse semplicemente una nobile espressione del pensiero umano e che qualsiasi mezzo materiale utilizzato per concretizzarla dovesse restare un semplice mezzo da non caricare di alcun valore aggiunto. Cerco di essere più chiaro: ha importanza la foto finale, non il mezzo per realizzarla. La composizione musicale finale, non gli strumenti per realizzarla e via discorrendo. Tuttavia mi sono reso conto che questo pensiero era limitato e rispondeva forse più che altro ad un tentativo di allontanare una malcelata dipendenza dagli oggetti materiali. Ho poi capito che la mia verità era un’altra e tutti i ragionamenti fatti fino ad ora mi portano ad una visione della realtà ben più articolata e realistica. A mio avviso il mezzo materiale non va demonizzato e chi lo fa (mi ci metto anch’io ovviamente) probabilmente se s’impegna si può rendere conto di farlo in risposta alla constatazione di essere almeno in parte vittima del sistema consumistico dei nostri tempi. Sensi di colpa? Probabile.
A ben vedere, la foto finale dipende sempre in misura più o meno cospicua, dal mezzo utilizzato ed anche la composizione musicale. La qualità del risultato raggiunto può avere molto a che spartire col mezzo materiale che la traduce in realtà. Lo stesso mezzo in base alle proprie caratteristiche qualitative è in grado di influenzare, stimolare, ispirare e quindi indirizzare verso strade che inizialmente neanche si erano prese in considerazione. Questo mezzo/oggetto ha tutte le carte in regola per essere promosso a COSA e puó essere anche un oggetto prodotto oggi o domani. Semmai quello che cambia è che il sistema attuale, ma in realtà potremmo partire molto addietro nel tempo, ha avuto sempre più premura di renderlo obsoleto e di condizionarci inducendoci a sostituirlo. Analizzando in questo modo è chiaro che qualsiasi COSA dei nostri giorni, può restare tale solo per un periodo sempre più limitato di tempo e con difficoltà riesce a competere con il fascino indiscusso di molti oggetti/cose del passato. Questo spiega molto chiaramente la sempre maggior facilità con cui restiamo affascinati da quest’ultimi.
Potremmo continuare a lungo, nuove considerazioni nascono continuamente, ma passo a voi la palla, io continuerò a seguirla per conto mio. Trovate un po’ di tempo per tutto questo, riuscirete sicuramente a valorizzare la vostra passione, a guardare con occhi diversi le vostre (spero) COSE e se ce n’è bisogno a correggere atteggiamenti che a lungo andare non potranno portare che insoddisfazione o se preferite, fasi brevi di illusoria felicità.
Vi lascio con una foto che scattai al volo infilando la macchina fotografica in una finestra di un ristorantino francese dell’alta Provenza. Probabilmente manca solo un bel grammofono.
Complimenti Luca !!!
Bellissimo articolo, bravo Luca Visentini. Un po troppo contorto, ma hai reso bene quello che volevi intendere.
Io sono del “62” quindi un po più vecchio di te, ma mi sono ritrovato in molte delle cose che hai elencato. Quei telefilm di “Attenti a quei due” mitici, con quella musica rimasta impressa nella mente di tutti noi, matusa. E i “Rockets”, musica elettronica mai sentita prima, pensa che io da ragazzo in un anno ho visto tre concerti di fila, e ogni volta rimanevo incantato da quei fasci laser sparati sul pubblico, e la sincronia delle luci, con il suono di quelle chitarre. E l’orologio di papà, simbolo di tante belle “cose” di un tempo passato, che a volte vorremmo fermare congelare per non perderle mai. Così come accade con una foto, e tu lo sai bene. visto che hai voluto chiudere l’articolo proprio con una tua bellissima foto. Complimenti di nuovo.
Grazie ragazzi. Si Domenico, un pó contorto, ma non è stato semplice mettere tutto in parole. Sulla pagina FB ho anticipato chiedendo di non affrontare la lettura tra mille distrazioni. Il rischio di mandarmi a cagare e passare ad altro sarebbe quasi assicurato!
Bell’articolo Luca,
sintesi di grandi pensate che il trascorrere degli anni regala, non senza anche un poco di dolore per ciò e per chi strada facendo si è perduto.
Mi piace molto il modo di ricordare “gli odori delle cose”… io lo faccio spesso… mi basta chiudere gli occhi e pensare ai luoghi e alle cose del passato e, come un miracolo, a tutti questi ricordi è associato esattamente l’odore. La mente umana somiglia molto agli Hard Disk che abbiamo inventato: nulla va perduto fino all’ultimo e poi ancora… chissa!
Per esempio l’amplificatore di cui ho parlato ormai anche troppo sul sito: per anni l’ho utilizzato in una camera che mi prestò mio zio, su di una cassapanca coperta da un tappeto; ebbene, ha assorbito l’odore di “pino silvestre” che permeava quella camere così bene che ancora oggi, a distanza ormai di oltre 35 anni, quando sta acceso per ore è un piacere dargli un’annusatina e godere del flashback immediato legato all’odore di quella camera là che ne viene fuori.
Mi aspetto che un giorno o l’altro ci si renderà conto che consumare oggetti nel modo attuale è pura follia, che è un modo per stare “bene” oggi senza pensare a un neanche troppo remoto domani… Spreco incosciente di risorse facendo affidamento su di… una risorsa “finita”, quale è il nostro pianeta!
Ci si dovrebbe in qualche modo accontentare di ciò che si ha… ma vallo a spiegare a chi ha appena avuto accesso alle novità disponibili a piene mani! Ogni acquisto una nova bruciante emozione da rinnovare spesso… penso alle code davanti ai negozi Apple ad esempio…
Ci vuole una presa di coscienza, un certo distacco, ed esserci comunque “passati” per potresi un attimo fermare e capire il meccanismo; e, non ultima, una volta capito come stanno relamente le cose serve un’alternativa altrettanto “facilmente arricchente” che ad oggi io non saprei trovare.
La difettosità del consumismo è però evidente: basta una flessione nelle vendite di qualcosa che già si entra in crisi! E, a pensarci bene, un futuro ancora concepito sul fare consumare quanti più oggetti possibile, fra qualche anno sarà una cosa totalmente priva di senso. (Beh, poi magari si va su Marte e la vecchia Terra consumata rimarrà a chi non ha gli “anni giusti” e le “carte in regola” per partire… anche questa potrebbe essere una possibilità. Chi ci va riparte da zero, da “pianeta nuovo”, non senza il rischio di farsi di nuovo stregare alla stessa maniera.
E alla fine di queste riflessioni indotte? Se non si fosse mai “consumato” non sarebbero nati neppure i Grundig… e non si sarebbero evoluti fino ai “receiver”, ai “satellit”, agli “anni d’oro” che tutti qui ricordano. La sostanziale differenza sta proprio nel fatto che una volta si pensava a fare le cose in modo che durassero “per sempre”. Troppo limitante per il consumismo, ma molto giusto per l’ambiente e… per noi nostalgici dei tempi “andati” e degli oggetti diventati grazie alla loro “storia” di anni, Cose.
E’ tardi meglio smettere di vaneggiare… il tuo articolo ha fatto un grande effetto!
Grazie
Grazie Giovanni, sapevo di essere in buona compagnia, avere conferma che non esistono solo le orde di cerebrolesi che si scannano all’apertura delle porte dei centri commerciali ogni black friday, mi fa sentire bene. Altrettanto avere conferma che non sono il solo ad annusare le pagine di un libro tutte le volte che lo apro.
Secondo me, specialmente qui su GrundigLove siamo in tanti a pensarla così, anche se non tutti lasciano un commento.
Meno male che è nato questo sito, dove si possono risolvere insieme i problemi elettrici-elettronici delle nostre apparecchiature e condividere le esperienze in un’atmosfera serena e accogliente.
Un’oasi felice, sono del tuo stesso parere e mi fa anche molto piacere quando nel mucchio di quelli che per anagrafe sono ormai matematicamente oltre lo spartiacque del vintage, vedo la presenza di ragazzi di giovane età, comunque capaci di apprezzare quello che il passato è riuscito a darci. Per quanto riguarda il sito, la fruibilità ed immediatezza della pagina FB sono indiscutibili, ma il formato del sito resta comunque qualcosa di molto particolare, offre insomma qualcosa del tutto differente dai soliti forum, magari in meno sotto certi aspetti legati all’immediatezza, ma tanto in più sotto quello di approfondimento. I dati riportati da Roberto Cecchini riguardo al numero di visite indipendentemente dagli iscritti, parlano chiaro, semplicemente inimmaginabili.
Nuovo Cinema Paradiso. Mi sembra di rivedere la scena finale del film: lui seduto in poltrona mentre la pellicola scorre le immagini bellissime del tempo trascorso nel paesino. Il paesino: quella cameretta della memoria dove restano indelebilmente conservati i nostri ricordi legati ad odori, suoni, frasi e “cose”. Pensa Luca che io non ho avuto la possibilità di ereditare un pezzo di hifi ma del vintage che possiedo ho riposto in loro la stessa emozione proprio perchè sono oggetti legati ad un modo di pensare, di comportarsi, di possedere le “cose” che oggi non esiste più. Quando guardo (mentre ascolto) il mio Stereomeister per me non è importante sapere chi l’ha posseduto ma mi appaga l’idea di possedere un oggetto costruito in un’epoca in cui le persone avevano dei valori, avevano un modo di comportarsi più rispettoso dell’attuale periodo che stiamo vivendo. Mi piace pensare che chi ha comprato quell’apparecchio ha dovuto fare un bel pò di sacrifici per poterselo portare a casa. E nel pensare ciò ecco che mi ricollega a tutto ciò che ho ascoltato dai miei genitori quando mi dicevano che per comprarsi il televisore mio padre dovette cucire l’equivalente di 3 abiti. Ecco quindi che in quel momento quell’apparecchio diventa “mio” come se lo avessi ereditato da mio padre, tanto tra il suo televisore e lo Stereomeister non cambia niente. Sai Luca proprio l’altro giorno ho visto un post bellissimo su FB dove un mio conoscente ha pubblicato una foto dei regali che farà a Natale ai suoi nipotini: ha addobbato una stanza piena di carillion a forma di: giostrine, trenini, mulini olandesi etc. anzichè regalare il solito cellulare. Nel vedere questo post ho provato un’emozione fortissima. Pensa quei ragazzini fra 40 anni si ritroveranno forse a scrivere le stesse cose che stiamo scrivendo noi adesso. Avranno una “cosa” di cui andranno fieri e che farà ricordare loro quei momenti. Un cellulare? Fra tre anni si sarebbero trovati sicuramente a farsi una domanda: ma cosa ci regalò il nonno tre anni fa? Boh!
L’intento dell’articolo sembra essere andato a buon fine, leggo con molto piacere i vostri commenti, questi interventi diventano a loro volta un’articolo nell’articolo. Avrei comunque dedicato del tempo a ragionare su queste cose, ma ora ho la prova tangibile che non è stato una perdita di tempo quella di condividere tutto con voi.