(RICORDO DI UN’EPOCA E DI UN PAPA’ SPECIALE)
La storia che vado a raccontarvi è la storia della nascita della mia passione per la musica (ed anche per la Grundig), attraverso la storia di un locale da ballo estivo, nato per opera di una persona dotata di molto ingegno e tanto entusiasmo: mio padre.
L’epoca: estate 1969 (quella dell’uomo sulla Luna e di Woodstock)
Il luogo: campagna alla periferia di Suzzara (MN), cittadina situata in una cuspide dove si toccano tre province: quelle di Mantova, di Reggio Emilia e di Modena-
Attraverso questo racconto, (che spazia dal 1968 al 1973) vorrei anche sottolineare come davvero gli anni ’60 hanno costituito un’epoca del tutto unica per le opportunità che offriva e per lo spirito che animava le persone che hanno vissuto la loro gioventù in quel periodo: davvero impietoso il confronto con l’epoca che stiamo vivendo ora.
Quegli anni rappresentano l’ultimo periodo in cui si viveva con l’assoluta fiducia in un futuro che poteva essere solo di gran lunga migliore del passato. Tutto questo terminò alla fine del 1973, con l’avvento della prima crisi del petrolio: si chiuse definitivamente un’epoca d’oro di crescita ininterrotta dal 1945 e finì in quel momento quel clima di assoluta fiducia nel futuro: le parole come”crisi” e “deficit” iniziarono ad entrare nel linguaggio comune allora e non ci avrebbero mai più lasciato.
Tutto cominciò in una mattina dell’autunno del 1968: mio padre, Geom. Righi Claudio, allora 28enne presidente della Cooperativa Muratori di Suzzara, verso le 9,30 stava percorrendo una stradina di campagna ed aveva libera tutta la mattinata, quindi aveva qualche ora di libertà davanti a sé. Prima di allora mio padre aveva percorso comunque centinaia di volte quella strada, senza mai fare molto caso ad un panorama che sembrava del tutto uguale al resto della bassa mantovana, campagna con qualche vecchio casolare, fienili e stalle piene di bovini o suini.
Era una mattinata baciata da un inusuale sole con cielo limpidissimo (considerato che si era già nella stagione delle nebbie), giunto all’altezza di una corte con una grande villa notò qualcosa cui non aveva mai fatto caso prima: notò che i cancelli delle entrate laterali ed il portone dell’entrata principale erano tutti spalancati e lasciavano intravvedere un parco naturale che mai prima aveva visitato. Avendo tempo a disposizione, incuriosito, entrò nella corte, scese dalla macchina e chiese se poteva dare un’occhiata a quel grande parco che si intravedeva dietro la Villa, chiamata, in onore della famiglia che la possedeva dal giorno in cui fu finita nel lontano 1542, Villa Capilupi
Quel gesto cambiò per sempre la vita mia e della nostra famiglia: la villa era disabitata dal 1960, quando l’ultimo discendente della famiglia dei marchesi Capilupi decise di trasferire la sua famiglia in città a Mantova e quindi anche il parco era in stato di completo abbandono da circa 8 anni. Tuttavia in quei pochi minuti che rimase ad osservare quell’ammasso di sterpaglie e piante secolari, grazie al suo grande ed innato talento di progettista riuscì ad immaginare nella sua mente quello che pochi mesi dopo sarebbe diventato il locale da ballo estivo più famoso della “bassa” delle province di Mantova, Modena e Reggio Emilia.
Nella settimana successiva il locale da ballo era già progettato in tutti i suoi particolari (camminamenti, bar, pista da ballo, palcoscenico e persino una piscina), anche negli arredi. Rimanevano da risolvere due enormi problemi: il primo, contattare il padrone della villa, il Sig.Capilupi per vedere quale formula adottare per poter usufruire del parco e della villa (e, cosa più importante, se era d’accordo a costruire un locale da ballo nel parco della villa); il secondo, altrettanto fondamentale, era reperire i finanziamenti per costruirlo.
Il primo scoglio fu superato velocemente, infatti il Sig. Capilupi si dimostrò contentissimo di concedere in affitto Villa e parco con un contratto di dieci anni, altrimenti tutto il complesso sarebbe andato in rovina, dato che la sua manutenzione aveva costi altissimi.
Per risparmiare dal punto di vista economico mio padre agì su due linee: la prima ,cercando di risparmiare sui costi di costruzione e la seconda creando una vera e propria azienda a conduzione familiare.
Per contenere i costi di costruzione usò il suo innato talento ed estro di progettista, progettando di utilizzare per la grandissima parte degli arredi interni, materiale edilizio per costruzioni, allestito, posato e dipinto con una fantasia tale da farlo sembrare tutt’altro e soprattutto da farlo risultare assolutamente accattivante (per l’epoca beninteso).
Per quanto riguarda il personale, immaginò, almeno per la prima stagione (come per ogni azienda è sempre la più critica, perchè è quella dove maggiore è la necessità di ripagare i debiti contratti per la partenza) di utilizzare la grande famiglia di mia madre.
Mio padre era figlio unico (caso raro per una persona classe 1940), ma mia madre era la terza di cinque sorelle ed un fratello: le due sorelle più grandi si erano già sposate e trasferite in altre città, la prima a Milano e la seconda a Modena, ma le altre due sorelle ed il fratello più giovani si erano trasferite nell’hinterland milanese a Trezzano sul Naviglio con i miei nonni da 2 anni circa, in cerca di nuove opportunità di lavoro, trascinate dal successo professionale ed economico del marito della figlia maggiore diventato industriale nel settore allora d’oro della plastica.
Anche calcolando tutti i risparmi portati da queste soluzioni alla fine il budget necessario risultò un poco superiore al costo di due Ferrari Daytona (l’ammiraglia Ferrari dell’epoca): rapportato ad oggi (prendendo ad esempio l’ammiraglia Ferrari di oggi) quindi si parla di una cifra non inferiore ai 700.000 euro odierni.
La nostra famiglia all’epoca abitava in affitto in un appartamento del palazzo più alto di Suzzara, e sicuramente non disponeva neanche della cinquantesima parte della cifra necessaria per la sua realizzazione (mia madre era casalinga): a questo punto entra in gioco l’eccezionalità di quel periodo dove tutto appariva possibile.
Mio padre era in rapporti di lavoro, che si erano trasformati in rapporti di grande amicizia, con una persona che aveva avuto un enorme successo economico nel campo dell’allevamento dei vitelli (tipica attività di un territorio ancora prevalentemente agricolo come la bassa mantovana); pensò di proporgli di entrare in società affinchè fornisse il capitale necessario. Poiché questa persona non era interessata ad entrare in società si offrì comunque di firmare e garantire personalmente le fidejussioni bancarie necessarie all’apertura dei fidi necessari per avviare l’impresa che aveva in mente mio padre.
Possiamo considerare la grande stima e fiducia che costui evidentemente riponeva nella persona e nel progetto di mio padre, ma mi sembra che questo fatto la dice lunga sul livello di fiducia nel futuro e nelle persone che in generale vi era nella società italiana alla fine degli anni ’60.
Superato lo scoglio economico rimanevano da convincere tutti i familiari di mia madre a trasferirsi da Trezzano sul Naviglio, lasciando le loro occupazioni di allora, per ritornare a Suzzara.
Di quell’autunno-inverno del 1968 ricordo nitidamente i servizi filmati quotidiani commentati da Ruggero Orlando nel TG della sera del canale nazionale (l’odierna RAI 1) che parlavano dei bombardamenti americani in Vietnam e mia madre che passava tutte le sere a prepararsi l’abito per il veglione di fine anno, visto che era stata invitata a passarlo al casino di Saint-Vincent insieme alla sua sorella maggiore e relativo cognato.
Nei giorni che precedevano immediatamente la vigilia di Natale tuttavia una sola notizia colpiva la fantasia di tutti i bambini e degli adulti: nella notte di Natale 1968 per la prima volta una navicella (Apollo 8 – per la precisione) avrebbe portato un equipaggio umano a circumnavigare la Luna a bassissima quota, ed era previsto il collegamento in diretta TV dell’evento: milioni di persone avrebbero potuto vedere da vicino la superficie lunare, comodamente seduti nel proprio salotto o in un bar.
Nel pomeriggio della vigilia di Natale tutta la famiglia Righi partì al completo per Trezzano sul Naviglio per fare opera di convincimento (i miei genitori con me e mio fratello minore, di soli due anni).
Era la prima volta che affrontavo un viaggio così lungo in autostrada; rimasi affascinato dall’architettura dell’autogrill di Fiorenzuola. Qui ci fermammo per un rifornimento e ne approfittai per andare al piano superiore per guardare le macchine passare sotto di me, era ormai l’imbrunire e le luci delle auto mi affascinavano. Per tutto il viaggio osservai la Luna, pensando come fosse incredibile che una piccola navicella gli stesse girando intorno e che da lì a poche ore ci avrebbe trasmesso le immagini ravvicinate di quella superficie ora così lontana.
Quella sera per la prima volta gli uomini sulla terra ricevettero gli auguri di Natale da uomini nello spazio.
Qui sotto le immagini trasmesse dall’orbita lunare il 24/12/1968: il capitano della navicella, Jim Lovell, (colui che si trovò due anni più tardi a gestire la missione Apollo 13) legge il capitolo della Genesi tratta dalla bibbia ed alla fine augura buon natale ad ogni essere umano che vive sulla terra.
Grazie a quella pioneristica missione fu anche la prima volta che gli uomini videro la meraviglia del pianeta Terra come lo si vede dallo spazio.
Tutto mi sembrava fantastico, ma il bello doveva ancora venire: I genitori, le sorelle più giovani ed il fratello di mia madre acconsentirono al progetto per cui nel veglione di fine anno a Saint-Vincent mio padre e mia madre poterono brindare alla buona riuscita del progetto.
Nella foto mio padre e mia madre brindano alla riuscita del progetto
In senso antiorario da destra, considerando le persone che NON danno le spalle al fotografo, mio padre Claudio Righi, mia madre (col calice in mano), il marito della sua sorella maggiore, sua sorella maggiore (con i boccoli) con altri due imprenditori milanesi del settore della plastica e relative mogli.
I lavori per la costruzione del locale e per ritornare a rendere abitabile la Villa che avrebbe dovuto ospitare una vera e propria tribù di persone (la mia famiglia, i nonni materni le sorelle, il fratello ed anche un cugino di mia madre, per un totale di 10 persone) iniziarono ai primi di Aprile: quando mia madre andava con operai, elettricisti e falegnami alla Villa per risistemarla vidi un mondo che non potevo nemmeno immaginare.
All’interno c’era un grande pianoforte, stanze assolutamente enormi con una grandissima biblioteca dove erano riposti libri antichissimi: addirittura Vi erano conservate copie della Gazzetta di Mantova (il giornale più vecchio d’Italia, le cui pubblicazioni iniziarono nel 1564, l’anno scorso ha infatti festeggiato il 450° anniversario dalla fondazione) risalenti al 17° secolo. Ovviamente i pezzi più pregiati furono ben presto portati via dalla famiglia Capilupi, ma comunque mi divertii un sacco ad osservare questi libri e tantissimi altri oggetti provenienti da un passato lontanissimo. Anche il posizionamento della Villa era strategico per colpire la fantasia di un bambino: appena di fianco Vi era una casa con una stalla: qui vivevano una coppia di coltivatori diretti anziani che avevano una piccola stalla con le mucche, tutti gli animali da cortile (galline, faraone, tacchini) e perfino un’asino che sostituiva il trattore. Con gli animali da cortile e coltivando due ettari di terra a fianco della Villa riuscivano a vivere dignitosamente ma sempre con grande sacrificio. Negli anni che seguirono ho potuto seguire da vicino (non troppo…ero pur sempre un bambino) il rinnovarsi del miracolo della vita, la nascita dei vitellini, dei pulcini, ed anche di un asinello.
Maggio 1969: durante i lavori di costruzioni l’unico fratello di mia madre si sposa scegliendo la location del parco della villa con…. un locale in costruzione! Il bambino che fa da paggetto è uno che da grande adotterà un nickname strano, “Supercolor”!
Fate caso a quelle forme di cemento bianche quadrate: sopra di esse verrà costruita una terrazza di cui si parlerà più avanti.
Un locale molto particolare
All’inizio di giugno tutti i lavori furono finiti il locale da ballo era ormai pronto per l’inaugurazione: il suo nome era PLURICLUB: fu scelto questo nome perchè voleva indicare che quel locale voleva abbracciare una pluralità di espressioni del divertimento che prevedeva, nei festivi, l’apertura del locale dal primo pomeriggio fino a notte fonda senza alcuna interruzione.
Infatti all’interno del locale da ballo era prevista una piscina (molto piccola se vista con gli occhi di oggi, ma all’epoca era una assoluta novità), una pizzeria e tutte le strutture necessarie ad un locale da ballo come il bar, la pista da ballo ed il palcoscenico. Anche la pista da ballo aveva qualcosa di molto innovativo ed allineato con la moda del momento: da qualche anno il capo femminile assolutamente di moda era la minigonna, per questo motivo le luci che la illuminavano non erano sopra la pista, bensì alla sua base, questo per valorizzare le gambe delle donne che diventavano parte del gioco di luci.
Era quindi un locale assolutamente unico nel suo genere, pieno di attrazioni sia per quanto detto sopra, ma soprattutto perchè tutto questo era immerso nel bellissimo parco di Villa Capilupi pieno di altissime piante secolari.
All’inizio di Giugno si lavorò a tappe forzate per riuscire a finire in tempo i lavori per la data dell’inaugurazione Sabato 7 Giugno 1969, troppo forzate…..
Ci si dimenticò di chiedere all’ENEL l’aumento della portata di kwh del contatore: probabilmente mio padre aveva pensato che se aveva sopportato le macchine da cantiere non avrebbe dato problemi con l’assorbimento richiesto dalle attrezzature e dalle luci, ma non fu così. A quell’epoca non esistevano le discoteche ed esisteva la differenziazione fra serate danzanti e non, date dalla presenza da un complesso (parola di moda allora) che suonava le canzoni più in voga del momento. Ebbene quando il complesso attaccò, l’intero parco cadde nel buio più totale! L’inizio fu veramente traumatico: si dovette dare un buono nottetempo per permettere alle migliaia di persone presenti di avere l’ingresso gratis il Sabato successivo, nuova data per l’inaugurazione.
A dispetto dall’inizio traumatico il locale ebbe un successo travolgente con 2.000 – 2.500 ingressi paganti nelle serate danzanti: il successo fu talmente grande che mio padre non sentì la necessità di chiamare attrazioni dai nomi risonanti in quella prima estate. Tuttavia fu fatta una eccezione, e che eccezione: quell’estate i maggiori successi furono le canzoni dei Beatles (Get back su tutte le altre) fra quelle straniere e, fra le canzoni italiane, una svettò su tutte divenendo il tormentone di quell’estate e rimanendo in testa alla hit parade per tantissime settimane.
Era “Lisa dagli occhi blu” cantata da Mario Tessuto: quando mio padre mi annunciò che sarebbe venuto a cantare nel nostro locale nel mese di Luglio e che quindi avrei potuto assistere alla sua esibizione di persona mi sembrò di toccare la Luna. Ascoltai il suo concerto estasiato e pochi giorni dopo il 21 Luglio, con aria altrettanto sognante vidi, questa volta in differita nel pomeriggio, il primo uomo passeggiare sulla Luna.
Qui sotto il video di “Lisa dagli occhi blu” tratto dall’omonimo film musicarello: Mario Tessuto, con una sedicente tuta da astronauta, rimpiange Lisa (la bellissima attrice Silvia Dionisio) in un improbabile “Centro Spaziale Italiano”: in quell’estate tutto doveva fare qualche riferimento allo spazio.
Quelli che sulla Luna ci sono andati davvero: il video del primo passo di Neil Armstrong sulla Luna, ripreso dal collega “Buzz” Aldrin con una cinepresa 16 mm. a colori ancora dentro il modulo di comando.
Non poteva mancare il video di Get Back, maggiore successo internazionale di quell’estate diversa da tutte le altre.
Fra le canzoni che erano costantemente gettonate nel Juke-box nei pomeriggi, quando il locale era aperto per sfruttare la piscina all’aperto e nelle serate prima che i complessi iniziassero a suonare (cosa incredibile a dirsi oggi, ma cominciavano verso le 22 e la gente cominciava ad affluire a partire dalle 21) ce ne furono parecchie che mi colpirono, di alcune ve ne ho già parlato qui, ma non posso esimermi di citarvi qualche altro brano; il primo fu un grandissimo successo di un musicista che, come Mario Tessuto, non riuscì mai più a bissare quel successo.
Il brano si chiamava “Flash”, riarrangiato dal musicista italiano Mario Battaini: è uno di qui rari casi dove la cover è molto, ma molto meglio dell’originale. Infatti Mario Battaini aveva riarrangiato questo brano originariamente inciso in Inghilterra l’anno prima dal gruppo “Marquis of Kensington” (Marchese di Kensington): a quel punto Battaini pensò di reinciderlo con le sue originali soluzioni ed adottare uno pseudonimo che non era altro che una rielaborazione del nome del complesso originale, dove il “Marchese” diventava “Duca” e dove in luogo della noto quartiere di Londra Kensington, aveva adottato la parola italiana “Burla” resa assonante alla stessa Kensington, cosicchè divenne “Flash” eseguito dai “The Duke of Burlington”
A dispetto dello pseudonimo non si trattò per niente di una burla ed il pezzo magnificamente riarrangiato da Battaini fu un clamoroso successo internazionale, che non posso fare a meno di riproporvi qui sotto:
Questo pezzo mi piaceva così tanto che, ormai ragazzino, quando nel Gennaio 1976 mi trasferii a Carpi, andai subito alla ricerca del 45 giri
nel più grosso negozio di dischi della città: lo trovai al primo colpo e mi sembrava di aver trovato qualcosa proveniente dalla preistoria:
come è diversa la percezione del tempo quando si è ragazzini rispetto a quando si è adulti.
Quello fu il primo 45 giri che ho comprato in vita mia, ed anche se in casa non avevamo ancora lo Stereo (arrivò solo nel Giugno dell’anno dopo), lo comprai appositamente perché doveva essere la prima canzone che avrei messo su il giradischi una volta comprato lo stereo, cosa che avvenne puntualmente il 14 Giugno 1977; per me era come un segno di continuità con un passato indimenticabile (ovviamente lo posseggo e custodisco gelosamente tuttora come una reliquia).
Un’altra canzone che gettonavo spessissimo nel juke-box del locale era il singolo di quell’estate di un gruppo genovese, in seguito diventato uno dei pilastri del progressive-rock italiano con la serie dei “Concerto Grosso”, ovvero i New Trolls.
Il brano era “Davanti agli occhi miei” ed io ero affascinato dalla struttura del pezzo e dalla bellissima voce del cantante Nico De Palo. Mi piaceva il parallelo tra il testo e la mia situazione di allora: quello che non potevo nemmeno immaginare di sognare ora era qui, “davanti agli occhi miei”. Ricordo nitidamente che spesso, durante il primo anno, quando mi svegliavo alla mattina mi davo dei pizzicotti per essere sicuro di non vivere in un sogno.
Ecco qui il contributo da Youtube:
Vorrei segnalare che nel 1969 uscì un altro splendido singolo dei New Trolls, la struggente “Una miniera”, vi consiglio vivamente di cercare di ascoltarla.
Tra le particolarità di quel locale per tutta la gestione di mio padre vi era quella di un bambino che fino a mezzanotte ed oltre si aggirava per il locale perchè adorava il mondo dei grandi e la loro musica. Mi piaceva aggirarmi sul palcoscenico per valutare gli strumenti dei complessi che venivano a suonare; più “tamburi” e “tastiere” avevano, tanto più dovevano essere in grado di suonare meglio pensavo ingenuamente allora (ovviamente invece era “il manico” a fare il musicista, non gli strumenti a sua disposizione) ed ero estasiato dai colori rilucenti e psicadelici degli strumenti come le chitarre o le batterie.
Alla fine dell’estate del 1969 il bilancio fu considerato così positivo che si decise di costruire anche un locale per l’inverno ricavato nel salone centrale della villa ed alcune stanze adiacenti, non utilizzate dalla nostra famiglia, sempre sfruttando in modo mirabilmente fantasioso materiali inusuali ed economici di derivazione edilizia. La struttura, costruita su piani sfalsati, posava su tubi innocenti che si usavano nei cantieri, sui quali alla base poggiavano piani in legno ricoperti di moquette. Questa struttura permetteva anche di avere una contro soffittatura efficace. Ai lati le pareti erano rivestite di tendaggi semitrasparenti con luci poste nell’intercapedine per un effetto scenico davvero notevole.
Qui sopra il salone centrale della villa, addobbato per un ricevimento di nozze, prima dell’installazione del locale invernale al chiuso che si estendeva anche in quattro enormi stanze adiacenti.
Tre serate indimenticabili
Nelle stagioni estive che si susseguirono, parecchie furono le serate in cui nel locale si esibirono le star della canzone più in voga del momento: si distinse particolarmente quella del 1970, l’anno dei mondiali di calcio messicani: durante l’estate passarono tutti i protagonisti della scena musicale italiana, tra cui i Dik Dik, ed i Camaleonti.
Nella foto qui sotto “I Camaleonti” in completa livrea bianca, immortalati con mio padre ed un cliente d’eccezione, il “bomber” (passatemi questo termine tipicamente da stadio) della nazionale vice-campione del mondo Roberto Boninsegna (in camicia scura), appena tornato dai mondiali, che ritornerà ancora molte altre volte a Villa Capilupi)
Nel 1971 tra le attrazioni di maggio spicco figuravano I Nomadi allora capeggiati dal cantante e capo carismatico Augusto Dall’Oglio, nel 1972 i Delirium di Ivano Fossati (ricordate Jesahel?)
Tuttavia tre sono le serate memorabili che meritarono l’onore delle cronache della stampa locale , nonché di essere qui raccontate, perchè ognuna rappresentativa ed icona di quel tempo per motivi di costume diversi fra loro.
1) UNA SERATA CALCISTICA
La prima si svolse nei primi mesi del 1971 (non ricordo la data precisa): fu organizzata una serata nel locale invernale con ospiti appunto Roberto Boninsegna e l’allora allenatore del Mantova Gustavo Giagnoni. Mai come in quel periodo la provincia di Mantova era alla ribalta sportiva: come detto prima, mantovano era quel Roberto Boninsegna in quel periodo al massimo della sua carriera e della sua fama, centravanti della nazionale italiana protagonista assoluta di Mexico 70 e dell’Inter che proprio nella stagione 70-71 pochi mesi dopo sarebbe diventata campione d’Italia con “Bobo” capocannoniere del campionato.
Gustavo Giagnoni in quel momento era l’allenatore del Mantova in testa al campionato 70-71 di serie B che avrebbe poi vinto conquistando poi la promozione in serie A (a tutt’oggi quella rimane l’ultima squadra del Mantova ad avere conquistato la serie A).
Nelle foto mio padre al centro (particolarmente raggiante, dato che pochi giorni prima era nata la desideratissima terzogenita) è ritratto nella foto con mia madre e Boninsegna a sinistra, la Sig.ra Giagnoni e l’allenatore Gustavo Giagnoni a destra.
Notate il pavimento della pista in vetrocemento: sotto vi erano lampadine colorate che facevano il classico effetto di luce dal basso ed illuminavano splendidamente quelle che il regista francese Truffaut definiva “i compassi che disegnano il mondo” ovvero le gambe delle ragazze in minigonna, allora ancora prepotentemente di moda.
2) LA DIVINA PATTY
La seconda serata memorabile si verificò pochi mesi dopo, ovvero il 29 Giugno 1971: era un Martedì ed era attesa ad esibirsi la cantante più famosa e di successo dopo Mina: la ragazza del Piper Patty Pravo.
Quando era prevista una sua apparizione televisiva in quegli anni tutte le donne dai 16 ai 35 anni si inchiodavano davanti al televisore per vedere com’era vestita, com’era pettinata e come si atteggiava davanti alle telecamere. Se Mina era sicuramente riconosciuta come la cantante più dotata tecnicamente, grande era il dualismo con Patty Pravo, che era in assoluto la cantante più di tendenza di quegli anni, vera interprete del divismo anni ’60 (allora non esistevano Internet e le tv private, ed i cantanti centellinavano le loro rare apparizioni in tv alimentando il divismo nei loro confronti).
Dopo sei mesi di corteggiamento serrato del suo manager, mio padre era finalmente riuscito ad ottenere la presenza della diva Patty Pravo in un locale perso nella bassa mantovana: il cachet richiesto era talmente alto che il biglietto d’ingresso era passato dalle usuali 1.000 lire per gli uomini e 500 per le donne ad una tariffa unica di 2.500 lire. Tenendo conto che la serata era un Martedì infrasettimanale non era una cosa peregrina temere che poca gente avrebbe presenziato a quella serata.
Ma così non fu, quella sera il locale fece il pienone, del resto la serata era stata ampiamente pubblicizzata dalla stampa locale. Tuttavia la “divina Patty” si comportò proprio come una diva dispettosa: alle ore 23,30 di Lei non c’era ancora traccia. Il pubblico cominciava a spazientirsi ed a fischiare sonoramente la malcapitata orchestra che aveva il compito di condurre la serata danzante prima di lei. All’epoca i cellulari non esistevano e non si poteva sapere dove era finita la cantante. Mio padre annunciò al microfono che sarebbe arrivata a breve: a quel punto vidi di persona il divismo di allora. La folla si diresse tutta verso l’uscita per aspettarla nel parcheggio: non era mai successo prima. A quel punto mio padre partì per andare a cercarla a Suzzara presso il ristorante dove si presumeva avesse cenato, non senza avere prima dato istruzioni di spargere la voce che sarebbe entrata per il cancello di sinistra a fianco della villa, mentre lei sarebbe stata fatta entrare da quello di destra.
A mezzanotte in punto arrivò la Porsche 911 di Patty che, come previsto, si diresse verso il cancello di sinistra con tutte le 2.500 persone al seguito e che si accalcarono intorno all’auto protetta da i carabinieri, ma con a bordo solo la sua inseparabile amica astrologa di allora, mentre Lei entrava tranquilla dal cancello di destra a bordo della macchina di mio padre (una anomima Fiat 1500 color panna).
Pochi minuti dopo, insieme a mio padre, stavo accompagnando Patty Pravo alla stanza dove doveva indossare gli abiti di scena: gli chiesi quanto tempo avevo per andarmi a piazzare sotto il suo microfono. Nella foto che la ritrae mentre annuncia l’inizio del concerto, il ragazzino di spalle ai piedi delle sue gambe ero io.
Era tardissimo e Patty, nella fretta, aveva pensato bene di non indossare biancheria intima: sulla terrazza costruita proprio quell’anno sugli spogliatoi dietro la piscina (vedere foto più in alto) si formò un calca di persone che fece temere a mio padre (che l’aveva progettata!) che potesse cedere da un momento all’altro. Il giorno dopo venni a sapere che da quella posizione le luci rendevano il tubino nero indossato da Patty completamente trasparente! Ecco spiegato quell’insolito assembramento.
Data l’ora tarda ed essendo non completamente presente a sé stessa cantò solamente sette canzoni e per questo fu fischiata. Quando verso l’una e trenta tornò nel camerino io la seguii e mi misi ad aspettarla all’esterno per chiederle l’autografo: quando uscì, accarezzandomi mi disse “Tu sei l’unica persona che è stata carina con me questa sera”. Con aria assolutamente sognante andai a dormire con il suo autografo sul comodino alle 2,00 (mio nuovo record assoluto!)
3) LE “COCCINELLE”
Dopo poco più di due mesi ci fu la terza serata che guadagnò spazio sulla stampa locale: Domenica 5 Settembre 1971 era prevista l’esibizione di un complesso femminile, le cui componenti erano tutte svedesi dal nome inglese “Lady Birds”.
Ora, già il nome se tradotto in Italiano letteralmente suonava ambiguo (anche se la traduzione esatta è “coccinelle”) , metteteci che erano tutte donne, e queste cose da sole già spiegavano la curiosità e l’attesa che si era creata per la loro esibizione. Se però aggiungete che nei manifesti pubblicitari erano rappresentate… in topless con le famose stelline sui capezzoli, capirete meglio la spasmodica attesa del pubblico maschile intervenuto quella serata, che non era certamente rivolta alle loro qualità canore.
A me e mio cugino (mio coetaneo, passava lunghi periodi in estate presso la mia famiglia) fu imposto di andare a letto presto quella sera: noi facemmo finta di andare a letto, poi ci andammo a nascondere dietro una porta a due ante che dava sul corridoio dove sarebbero passate le ragazze per uscire dalla villa ed andare sul palco. Dentro quella stanza completamente buia aspettammo almeno mezz’ora, ma alla fine comparvero le quattro amazzoni con alle spalle uno scialle comunque di scena, in quanto lasciava in bella mostra il loro topless con le immancabili stelline, ovviamente. Non si accorsero di quei quattro occhietti curiosi che per un fugace ma intenso momento le osservarono dalla fessura di una porta leggermente scostata.
Non seppi mai se sapevano cantare e suonare bene, ma molti anni dopo, mio padre mi raccontò che fu una serata da brivido, in quanto, appena apparvero sul palco con i soli pantaloncini short e le stelline, il comandante della squadra dei Carabinieri voleva far interrompere lo spettacolo per atti osceni in luogo pubblico. Solo la proverbiale opera di convincimento di mio padre evitò la sospensione dello spettacolo e la probabile ira del numerosissimo pubblico pagante.
Quella serata fece davvero scalpore, dovete pensare che allora per vedere anche solo una donna in topless bisognava comprare riviste vietate ai minori; non esistevano i film a luce rossa (a parte quelli clandestini in Super 8), e persino l’ombelico creava scandalo nella tv di quegli anni.
Ovviamente non ci sono foto di quella serata, dato che se fossero anche state scattate non sarebbero state pubblicabili.
Quando da lì a pochi giorni tornai a scuola in 4° elementare, i miei compagni di classe non mi chiesero più se avevo visto qualche fantasma aggirarsi nelle enormi stanze della villa, ma “com’era Patty Pravo nella realtà?”
Il mondo dei grandi attraverso gli occhi di un bambino
Durante quegli anni io e mio fratello avevamo a nostra esclusiva disposizione un grande parco dei divertimenti: durante le giornate estive potevamo scorazzare in bicicletta al suo interno. Avevamo un sacco di spazio a disposizione per inventare tutti i tipi di giochi che ci venivano in mente. Le sorelle di mia madre durante l’estate portavano i nostri cugini che rimanevano con noi per lunghi periodi: avevamo così anche i compagni di giochi sempre nuovi e diversi ed ispirati da quell’ambiente così particolare.
Dietro il parco la campagna si estendeva a perdita d’occhio per qualche chilometro: la percorrevo in lungo ed in largo come un piccolo esploratore e, mentre nella stagione fredda nei miei giochi di fantasia di futuro astronauta si trasformava nelle aride pianure lunari, nella stagione calda le parti coltivate a granoturco si trasformavano nella giungla in cui nascondersi dall’invasione degli alieni.
Per me ed il mio cugino coetaneo (ne avevo altri ma più piccoli di me) che fin dal 1969 eravamo soliti leggere Topolino…Quattroruote ed Autosprint , il clou veniva nelle serate estive quando giocavamo a fare i concessionari di auto; nel parcheggio del locale c’erano quasi tutte le auto commercializzate in Italia all’epoca.
Non dimenticherò mai una sera dell’estate del 1970, quando il finanziatore di mio padre ci portò a far vedere il suo nuovo acquisto: una Maserati Ghibli SS coupè 5.0 litri di cilindrata: era marrone metallizzato con l’interno in pelle beige. Per me era la macchina più bella che avessi visto fino a quel momento. Addirittura fui invitato a salire durante il giro di prova insieme a mio padre: rimasi impressionato dal numero di “orologi” presenti nel cruscotto. Andai a letto fissando nella mente quei straordinari minuti a bordo di quell’auto da sogno. (Provate a vedere il film “La piscina” del 1969 con Alain Delon e Jane Birkin e mi darete ragione sul fatto che era una auto straordinaria – qui di seguito i link al trailer del film, purtroppo in lingua originale).
Durante le estati potevo ascoltare quando volevo tutti i successi del momento attraverso il juke box del locale estivo: negli inverni andava ancora meglio, andavo nel locale costruito all’interno della villa, salivo al piano rialzato artificiale dove era stata allestita l’impianto – discoteca e mettevo su personalmente i dischi che più mi piacevano: faccio presente che nei juke-box dell’epoca si potevano selezionare tracce da Atom Heart Mother, The dark side of the Moon dei Pink Floyd (tipicamente “Summer of 69” dal primo e “Money” dal secondo), così come molti altri pezzi splendidi di diversi gruppi come ad esempio “Theme one” dei Van Der Graaf Generator.
Mi appassionai alla musica, potendo viverla dal vivo attraverso le serate del locale estivo, oppure riprodotta attraverso la discoteca del locale invernale. Avevo il più grande stereo che chiunque potesse sognare, tutti i pomeriggi che volevo: in quel parco perso nella campagna mantovana non c’erano problemi di vicinato. Non avevo quindi bisogno di sognare un impianto hi-fi qualunque fosse la marca, Grundig compresa.
Tuttavia fu proprio in quegli anni che nacque la passione per il marchio Grundig, attraverso una TV 24 pollici in bianco e nero (comprato nel 1968 da mio padre, un’atra delle sue grandi intuizioni) il quale aveva un grande audio che rendeva benissimo, per fare un esempio, le canzoni degli show del Sabato sera in cui Mina la faceva da padrone, ricordo il mitico Teatro 10 su tutti, nelle sue varie edizioni, del quale io non mi perdevo una puntata, adagiato sul ventre di mia nonna, visto che mia madre era a servire nel bar del locale.
Nelle estati del 1972 , del 1973 e del 1974 mi divertivo ad ascoltare ad un volume molto sostenuto la sigla del telefilm che aveva rapito la mia fantasia di pre-adolescente, UFO.
Qusta sigla mi piaceva da morire e non me la perdevo per nulla la mondo:
UFO venne trasmesso le domeniche pomeriggio alle 17 nei primi mesi dell’anno, a seguire venne trasmesso un altro telefilm rimasto nel cuore di tutti i diversamente giovani nati nella prima metà degli anni ’60, vi dice qualcosa questa sigla?
L’ottimo audio di quella tv in bianco e nero me le faceva gustare in modo particolare, e tutte le volte alzavo notevolmente il volume, erano trascinanti ed avevano degli splendidi bassi esaltati dalla inaspettata (alle mie orecchi inesperte di allora) qualità di quell’altoparlante “Superphon” Grundig. Da allora cercai di comprare di marca Grundig tutto quello che aveva un altoparlante, tipo radio da tavolo o portatile: inoltre quando i miei mi portavano in centro a Mantova negli anni 1972-1975 rimanevo letteralmente incantato per alcuni minuti davanti al rivenditore locale della Grundig (nella via dello struscio della città) per ammirare i Super Color che all’epoca riproducevano le immagini della TV SVIZZERA italiana e di TV CAPODISTRIA, visto che la RAI tardava a partire con il colore.
La mia passione per la Grundig si focalizzò sulle radio portatili e sui famosi TV “Super Color” che nel 1979 (quando dopo un grande sforzo economico e dietro mia asfissiante insistenza mio padre comprò un Super Color che prese il posto del Record Electronic a casa nostra) rappresentavano il 30% delle tv a colori vendute in Italia.
Solo nel 2013 venni a conoscenza del fatto che anche gli apparecchi hi-fi prodotti dalla Grundig in quegli anni erano di qualità assoluta, prodotti che invece io avevo snobbato (anche e soprattutto per motivi di budget) quando, nel 1977 convinsi mio padre ad acquistare un coordinato entry-level Pioneer composto dal Giradischi PL-112D (un vero best-buy di allora la cui fama è sopravvissuta fino ai giorni nostri), dall’amplificatore SA-5300 e dai diffusori ad alta efficienza CS-313; non aveva certo la resa dei Grundig di allora, ma certamente si poteva comunque dire “poca spesa, tanta resa”. (Alla fine di questo articolo ho descritto come mi organizzai successivamente a Carpi per l’ascolto della musica)
Il declino e la rinascita
Ma torniamo alle vicende del locale da ballo: negli ultimi due anni il successo delle serate danzanti era tale che non furono più chiamate attrazioni (salvo l’eccezione dei Delirium di Ivano Fossati)): tuttavia nell’autunno del 1973 accaddero due fatti che cambiarono quello stato delle cose:
Il primo, strettamente locale, fu l’inaugurazione di un locale enorme, molto moderno, nel quale si danzava anche con la sola discoteca alla periferia di Mantova, chiamato “Caravel” (N.d.r.: una delle poche megadiscoteche nate negli anni ’70 ancora sopravvissute fino ad oggi).
Il secondo fu la famosa austerità seguita alla prima crisi del petrolio per la guerra del Kippur: fu imposta la chiusura dei locali pubblici alle ore 24,00: questo insieme alla concorrenza del Caravel fece sì che nell’autunno-inverno 1973-74 ben pochi avventori sfidarono la leggendaria nebbia delle campagna mantovana per venire a Villa Capilupi.
La notizia che il Caravel stava costruendo anche il locale estivo che sarebbe stato inaugurato nell’estate 1974, fece decidere a mio padre di subaffittare la gestione del locale estivo a terzi e di riprendere la sua originale professione di geometra. Il locale nato all’interno del salone della villa fu smantellato.
La fine della gestione di mio padre coincise con la fine per l’Italia di quell’epoca d’oro in cui tutto sembrava possibile e che gli anni venire potevano solo essere migliori: nel 1974 la strage di Piazza della Loggia a Brescia dette il via alla lunga stagione del terrorismo nero e rosso: com’era stridente il confronto con l’atmosfera degli anni precedenti: la continua crescita economica si interruppe per sempre, ed il suo posto fu preso dalla “stagflazione” (inflazione e stagnazione in contemporanea) Villa Capilupi dal 1974 in poi conobbe un lento ma inesorabile declino; da lì a poco (1975) il vocione di Barry White costituì i primi vagiti del nuovo genere, la Disco Music, che dette il via al fenomeno delle discoteche e della febbre del Sabato sera.
La tribù di dieci persone che aveva abitato la Villa dal 1969 si assottigliò perchè rimase, oltre ai miei nonni materni, solo la sorella più giovane di mia madre, gli altri si sposarono ed ovviamente si trasferirono per conto proprio: la mia famiglia e quella dei nonni materni rimasero in Villa fino alla fine del 1975 poi ci dividemmo: la mia famiglia si trasferì a Carpi (dove nel frattempo aveva trasferito i suoi interessi lavorativi mio padre), i miei nonni materni e la sorella più giovane di mia madre si trasferirono nel vicino paese di Gonzaga.
Tuttavia dal 1976 ad oggi quasi tutti i week-end tutte le sorelle di mia madre si riuniscono immancabilmente nella casa della nonna materna (che purtroppo recentemente ci ha lasciato alla veneranda età di 96 anni) per non interrompere quella tradizione iniziata nell’ormai lontano 1969. In occasione delle feste comandate si riuniscono anche tutti i suoi undici nipoti (di cui solo sei hanno un ricordo di quegli anni, gli altri sono nati dopo).
Per la cronaca il locale estivo di Villa Capilupi passò attraverso varie gestioni ma negli anni a seguire il declino sembrò inarrestabile: nessuna gestione volle affrontare gli ingenti investimenti necessari per riammodernare gli impianti, tecnologici e non, pensati nel 1969, fino a quando nella metà degli anni ’90 i gestori di un altro locale situato a Marmirolo (paesino a nord di Mantova) evidentemente pensarono che ne sarebbe valsa la pena.
Ebbero clamorosamente ragione: il locale fu completamente rinnovato e tornò ad essere il locale più alla moda. Io stesso ne sono stato un assiduo ed orgoglioso frequentatore: con tutti i miei amici potevo dire: “tutto questo cominciò per iniziativa di mio padre”. Il locale di Villa Capilupi finì quindi in bellezza nel 2000, quando l’ultima erede della famiglia Capilupi decise di non rinnovare il contratto di affitto ai gestori.
Quel bambino che aveva sette anni nel 1969 è cresciuto, ed ogni volta che passa davanti a Villa Capilupi, ferma la macchina e, forse perchè l’esterno della villa è rimasto praticamente uguale a quello del 1969 (miracoli dei metodi di costruzione del 16° secolo), entra in una bolla temporale: in pochi secondi ritorno agli anni che vanno dal 1969 al 1975, tantissime immagini e suoni mi ritornano prepotentemente alla mente e mi rapiscono. Poi, dopo qualche secondo, con un sorriso rimetto in moto, ritorno al presente e penso quanto sia stato fortunato ad avere una tale infanzia.
Questo articolo è un omaggio alla memoria di un papà speciale che, con il suo talento e la sua fantasia, ha costruito una realtà che, per i suoi figli, ha superato di gran lunga i loro sogni infantili.
In memoria di Claudio Righi 08/02/1940 – 21/06/2011
Nulla di rilevante può accadere nella vita di un essere umano dopo aver compiuto i 12 anni
J.M Barrie scrittore, inventore del personaggio di Peter Pan.
Ringraziamenti
– Youtube per i contributi filmati
– maserati-alfieri.co.uk per le immagini della Maserati Ghibli 5000 SS
– wegavision.pylalhost.com per l’immaagine dal catalogo Pione
Sono rimasto senza parole!!!!
SEMPLICEMENTE E MAGICAMENTE FANTASTICO!!!
Grazie Luca!
IMMENSO LUCA !
Emozionante articolo e bellissimo omaggio alla memoria di tuo Padre, davvero speciale.
Mi hai fatto rivivere lo “spirito” di quegli anni.
Ammirevole!!! Grazie Luca.
Che dire sono passato dalla “rabbia” della foto troppo piccola relativa al gruppo femminile a tette al vento in quanto volevo approfondire meglio quelle della ragazza centrale, alla commozione finale. Sì, avendo la stessa età di Luca, certi suoi ricordi, sono anche i miei. Invidiabili le serate che hai vissuto Luca, non immaginavo un passato tuo così “importante”, ed aggiungo che tua mamma da giovane era bellissima.