Grundig V7000 – Un amplificatore senza “misteri particolari”
Al fine di fugare ogni dubbio e mistero legato alle apparecchiature Grundig in generale e in particolare al V7000 pubblichiamo un interessante articolo di Piercarlo Boletti. L’articolo lo si ritrova sul suo interessante blog all’indirizzo posto in calce all’articolo.
Con questo scritto, intendiamo distinguerci da chi fa del ”mistero”, mercato – in quanto pensiamo che gli apparecchi Grundig suonano come suonano in quanto sottostavano a precise norme e progetti di costruzione.
E’ logico che applicare regole di buona costruzione su altre apparecchiature porta benefici. Lo scopo del nostro sito è quello di analizzare gli apparecchi Grundig e non surrogati o succedanei.
Esistono anche apparecchi costruiti al giorno d’oggi che applicando i principi costruttivi Grundig suonano in modo egregio. Non ereditano però lo stile, la storia e la gloria del marchio di Furth e non sono da noi considerati e consigliati.
Non esiste ragione al mondo di avere un apparecchio che suona come Grundig ma non lo è.
Vi lascio alla interessante lettura, ringrazio sentitamente Piercarlo per aver autorizzato la pubblicazione sul nostro sito.
Roberto
Questo articolo è stato scritto da Piercarlo Boletti – Nato a Milano nel 1961, vi vive stabilmente dal 1967. Single, appassionato di elettronica, scienza, fantascienza… e di tante altre cose. Per contattarlo: piercarlo.boletti@gmail.com
Premessa
Il testo di questo articolo è stato pubblicato tra maggio e giugno 2008 su VideoHifi, all’epoca in cui, sia pure in fase avanzata di ”distacco”, seguivo ancora la faccenda ”Grundig-CCI-Ambrosini” con un certo interesse nonostante non pochi aspetti cominciassero ad già allora un po’ troppo fumosi per essere creduti sulla base della sola fiducia, senza onere di prova – intendendo con “prove”, prove vere e scientificamente valide, non le cosiddette ”prove di ascolto” che, da per la scienza, valgono quanto le ”prove” sui tavolini che ballano forniti dai medium… al buio!).
Del resto fu proprio l’analisi tecnica del circuito del V7000 a mettere in chiaro – anzitutto ai miei stessi occhi – che il suo ”bensuonare” poggiava su solidi principi di elettronica in cui, da tempo, non vi era alcunché di misterioso ma che soprattutto, nonostante alcuni lo cercassero a forza, del ”mistero” e del ”misterioso” non aveva alcun bisogno per giustificare tecnicamente le proprie prestazioni.
Un’impressione che, oltre ad essere mutuata dalla mia esperienza personale, era il circuito stesso a suffragare: non solo le sue prestazioni non erano frutto del caso ma di una precisa volontà progettuale ma esse erano completamente definite dal suo circuito, senza alcun bisogno di appoggiarsi a conoscenze ”arcane” di alcun genere.
Tenendo conto che lo stadio finale è in realtà una versione riconfezionata come amplificatore integrato dello stadio di uscita di un sintonizzatore a sintesi di frequenza (l’ottimo R30, molto compatto ma appunto per questo anche molto critico da costruire soprattutto dal punto di vista dell’autointerferenza generata dalla stretta coabitazione in un unico pienissimo contenitore di ben tre elettroniche – bassa frequenza, sintonizzatore e controllo digitale della sintonia) i punti di forza del V7000 (che come si vedrà tra poco è costituito sostanzialmente dallo stadio di potenza con intorno il minimo indispensabile per dotarlo di un po’ di preamplificazione e interfaccia con le sorgenti) si possono riassumere come segue:
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Garantire una controreazione quanto più possibile costante sulla banda audio in modo da evitare che la stessa fosse costretta a correggere problemi da essa stessa introdotti.
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Conservare una SVRR e una reiezione generale ai disturbi significativa anche in banda ultrasonica, almeno fino all’inizio delle onde lunghe.
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Ostacolare quanto più possibile la circolazione di segnali non inclusi nel segnale di ingresso e soprattutto non pertinenti alla banda audio almeno per tutte le frequenze in cui l’amplificatore sia anche solo residualmente attivo.
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Curare quegli aspetti che nell’alimentazione di un circuito elettronico possa costituire nei fatti una ”seconda porta” per segnali estranei alla banda audio.
Da queste attenzioni, consegue anche la scelta del particolare tipo di trasformatore adottato (Il cui dato saliente è quello di essere incastellato in una struttura plastica che lo isola magneticamente dal telaio, impedendo a questo di diventarne un ”lamierino” che, per la sua stessa foggia, finisce di fatto per chiudere ”nel” trasformatore l’intero circuito alimentato).
Questo a giustificativo di almeno il 99% per cento delle prestazioni di questa elettronica; il rimanente 1% (o forse solo lo 0.1%…) è tranquillamente riconducibile ad un’applicazione abbastanza sistematica di precauzioni che si devono prendere per ”pararsi” dai problemi di compatibilità elettromagnetica che, ”ignoti” a tanti progettisti di ”audiofilerie”, lo erano invece assai di meno a chi progettava e costruiva anche radio – e per la cronaca, radio che non erano seconde a nessuno – per i quali il pensare a questi aspetti anche nel progetto di elettroniche diverse dai ricevitori era (ed è ancora oggi) una seconda natura.
Ciò detto, questo amplificatore lascia trasparire da parecchi indizi che è stato concepito da un progettista magari non aggiornatissimo sulle circuitazioni più ”in” ma tutt’altro che di primo pelo: un progettista che sapeva cosa significasse veramente ”far suonare” un amplificatore e lo metteva in pratica.
Lascia anche trasparire, da diversi accorgimenti, che è nato come sezione a bassa frequenza di un radioricevitore di qualità presumibilmente ”adeguata”: fin dagli stadi di ingresso e fin dal collegamento particolare usato per collegare lo chassis (il famoso ”cilindretto”), così come nell’uso apparentemente ”incongruo” (alle frequenze audio) di ferriti in varie parti del circuito, si evince che il progettista voleva sia proteggere il più possibile il circuito dalle interferenze RF, sia evitare, in caso di ”fallimento”, che una qualunque parte del circuito potesse trasformarsi in un rivelatore RF spurio.
V7000 – Sezione di ingresso e controlli
A pagina seguente è visibile lo schema della sezione preamplificatrice del V7000. Pur non essendo certo un campione di originalità o di sofisticazione circuitale, presenta comunque alcuni dettagli interessanti e che meritano di essere sottolineati.
Il primo tra questi è che sulle prese DIN del pannello posteriore, la massa del segnale è sì collegata alla massa del circuito stampato a tutte le frequenze ma è anche collegata, PER LE SOLE ALTE FREQUENZE, alla massa del telaio attraverso i condensatori ceramici da 1 nF, C4 e C5. Sono gli unici ingressi che godono di questo trattamento particolare: tutti gli altri, compreso l’ingresso DIN Tape II sul frontale, sono collegati alla sola massa del circuito stampato.
Più avanti cercheremo di farcene una ragione di questo differente trattamento; al momento va invece evidenziata un’altra precauzione ”invisibile” ma efficace contro l’invasione di RF attraverso gli ingressi: i cavi che collegano gli ingressi al selettore a tasti degli ingressi, essendo sempre preceduti da una resistenza di protezione da 2.2 kohm (presente su tutti gli ingressi ad esclusione del phono MM), funzionano anche da filtri RC, con la ”C” costituita dalla capacità parassita dei cavi.
L’unico ingresso esente dal ”trucco”, il phono, è invece protetto da una rete RC esplicita (R3 da 470 ohm e C10 da 100 pF su un canale, corrispondenti a R4 e C20 sull’altro canale) che costituisce un filtro RF che taglia a partire da circa 3.4 MHz e che probabilmente corrisponde anche alla frequenza di taglio dei ”filtri nascosti”, qualora si ipotizzi una ragionevole capacità parassita di circa una ventina di pF per cavo.
A parte che per lo stadio phono (piuttosto scarno e trascurato anche per gli standard dell’epoca e soprattutto con costanti di tempo nella rete di equalizzazione che con quelle RIAA non c’entrano nulla),(1) il primo vero stadio attivo incontrato dal segnale è costituito dall’inseguitore di emettitore T201 per il canale sinistro e T202 per il canale destro (due BC550C ad alto guadagno di corrente e alimentati ad una tensione sufficientemente alta da rendere la distorsione di questo stadio ininfluente).
Questo è anche lo stadio che più di ogni altro caratterizza la stabilità dell’immagine sonora di tutto l’apparecchio: se polarizzati correttamente e con correnti di riposo adeguate (in questo caso 3 mA per stadio), ”impongono” il loro segnale con una stabilità ”naturale” propria che altri circuiti (operazionali collegati a voltage follower) ottengono solo in virtù della retroazione, rappresentando in questo caso un buon equivalente elettronico del classico cannone usato per ammazzare le mosche.
Lo stadio d’ingresso, supponendo l’uso di transistori con Hfe al minimo consentito dal gruppo di selezione (400 a 3 mA per il ”C”), ha una impedenza di ingresso di circa 250 kohm, ovvero un non-problema per qualunque sorgente ad alto livello progettata con criterio. L’impedenza di uscita dipende, com’è normale per gli inseguitori di emettitore, da quella della sorgente.
Supponendo questa pari a 10 kohm (abbastanza prossima all’effettiva impedenza di uscita di molte sorgenti non bufferizzate com’è ad esempio, a bassa frequenza, quella dell’equalizzatore ”simil-RIAA” di questo stesso amplificatore) ci ritroviamo una impedenza di uscita di Rs/Hfe = 10.000/400 = 25 ohm a cui vanno aggiunti i circa 8-9 ohm che la giunzione base emettitore pone in serie al segnale. Arrotondando a 35 ohm abbiamo una impedenza che, per il circuito che segue, è di fatto quella di un generatore di tensione ideale.
Questo aspetto torna utile soprattutto in vista del fatto che, a valle di esso, seguono in un sol colpo ben tre circuiti passivi: i controlli di bilanciamento, volume e loudness tutti in un colpo solo; il progettista ha dotato lo stadio di ingresso di un filo di muscoli ma non li ha certo lasciati a far nulla! Un ultimo dettaglio su questo stadio: solitamente gli inseguitori di emettitore vengono lasciati funzionare con la propria banda passante intrinseca (che dipende in sostanza soltanto dalla FT e dall’impedenza della sorgente vista dal transistor usato – e nel nostro caso, senza accorgimenti, significa ritrovarsi una banda passante di svariate decine di MHz, in totale contrapposizione con i fini del progettista e quanto mai pericolosa proprio con gli inseguitori di emettitore, che possono facilmente, e distruttivamente, trasformarsi in oscillatori RF). In questo caso si è deciso intelligentemente per una limitazione drastica della banda passante dello stadio: R208 e C204 sul canale sinistro ed R212 e C205 sul destro (con R da 2.2 kohm e C da 1 nF) cominciano a tagliare senza tante storie a circa 70 kHz – in realtà a qualcosa di meno perché a C si aggiunge in parallelo la capacità di diffusione sulla giunzione base emettitore che è sempre di una certa importanza anche se non facilmente calcolabile a priori – e che, contrariamente alla capacità base-collettore, non viene purtroppo quasi mai precisata nei datasheet.
Passiamo a esaminare ora ciò che viene dopo… soprattutto il loudness che, più volte accusato di essere il vero responsabile dell’ ”effetto Grundig”, almeno in questo amplificatore è innocente come un neonato: quando è inserito è inserito, quando è disinserito è disinserito… fine della storia. O quasi. In effetti l’inclusione/esclusione del loudness riguarda solo la parte che influenza la risposta in frequenza del controllo di volume mentre l’alterazione dei livelli relativi alla posizione del volume indipendente dalla frequenza, rimane inserita a tutti gli effetti (si tratta delle resistenze R222 ed R229 per il canale sinistro e corrispondenti R223 ed R231 per il destro che, da sole o in serie ai condensatori C212 e C218 (C213 e C217 per il canale destro). Personalmente lo ritengo un non-problema ma mi pare giusto segnalarlo.
D’altra parte, a prescindere dalle preferenze loudness sì, loudness no, quello utilizzato da Grundig in quasi tutte le sue elettroniche di un qualche pregio (anche non eccessivo, come può testimoniare il mio R300, un sintoamplificatore che si può definire tranquillamente ”da cucina”), è decisamente più sofisticato di quello generalmente usato da altri costruttori e reca allo stesso tempo l’impronta della ”anzianità” del team di progettisti essendo, in effetti, nient’altro che i discendenti diretti dei ”contour controls” a tasti che megli anni sessanta popolavano i frontali di quasi tutti i radiogrammofoni a tubi – e il cui pregio commerciale era all’epoca stabilito proprio dalla più o meno ricca dotazione di questi tasti ”magici”.
Usciti dal controllo di volume incontriamo il secondo stadio attivo comune a tutti i segnali: un semplice stadio amplificatore per 15, invertente, ben polarizzato (sempre 3 mA per stadio) e fortemente degenerato sull’emettitore in modo da ridurre anche qui, come nello stadio precedente, la distorsione a una pura questione accademica (siamo, in presenza di segnali normali, a non più dello 0.05%, il tutto ottenuto ancora con un singolo stadio che, al pari dell’altro, l’unica cosa che chiede al mondo è di essere alimentato come si deve e di non doversi sorbire segnali con ampiezze e ”dinamiche” irrealistiche.
All’uscita di questo stadio sono connessi direttamente i controlli di tono che sono di tipo COMPLETAMENTE PASSIVO, particolarità che, se da un lato non consente grandi escursioni (ma le usa qualcuno poi?), dall’altro elimina alla radice (o quasi) il pericolo di autooscillazioni distruttive per i finali che, più spesso di quanto si creda, hanno origine non nei finali ma in preamplificatori eccessivamente elaborati o non ben curati sotto il profilo della stabilità. Circuiti che, specie se inseriti nelle reti di retroazione, ”giocando” un po’ troppo con le fasi relative dei segnali alle varie frequenze sono tutti dei potenziali killer di tweeter e stadi finali. Questo già con i ”soliti” controlli di tono, in special modo se si comincia a chiedere roll-off variabili, tilt ampie capacità di escursione dei controlli ecc. Chi scrive ha collezionato di persona qualche costoso ”cadavere” per aver preteso la Luna dove la Luna non c’era! Infine usciti dai controlli di tono tramite i condensatori C233 (sx) e C234 (dx) entriamo finalmente nel finale di potenza.
V7000 – Il finale di potenza
Il finale del V7000 pur apparentemente simile a tanti altri, è in realtà, come rilevabile da diversi aspetti del suo schema, è il risultato di una estesa ”reinterpretazione” da parte del progettista di schemi e impostazioni altrimenti classici. Chi si è letto Douglas Self può tranquillamente lasciarlo perdere: in questo circuito non vi è quasi nulla che si richiami, sia pure ante litteram, al concetto di ”blameless amplifier” propugnato da Self stesso: semplicemente il progettista Grundig si è posto obiettivi del tutto diversi da quelli che si sarebbe posto Self nel progettare un amplificatore.
Cominciamo con lo stadio di ingresso del finale, precisando subito che ”lo stadio differenziale” ha in comune con i differenziali propriamente detti soltanto la forma grafica: in realtà i due transistori del differenziale (T5-T9 per il canale sinistro e T6-T11 per il destro) costituiscono due stadi distinti, in cui il transistore di ingresso funziona da inseguitore di emettitore che alimenta un transistor collegato a base comune ”impropria”, perché sulla base di questa fa capo la controreazione generale di tutto l’amplificatore. La virtù principale del differenziale in questi circuiti, quella di cancellare quasi integralmente la dipendenza della transconduttanza dei transistori dalla loro corrente di collettore, va qui persa praticamente per intero.
Il circuito attorno al transistore di ingresso tradisce, ancora una volta, la preoccupazione del progettista nei confronti della RF, su cui pone ben due paletti. Il primo è costituito dai ceramici C30 e C40 da 10 pF, che aiutati dall’impedenza equivalente di uscita ad alta frequenza della rete dei toni – di tipo passivo come già sottolineato che, riducendosi ad alta frequenza ad una rete di sole resistenze, può essere sommariamente valutata, con i potenziometri dei toni in posizione ”flat”, pari a circa 5 kohm. Supponendo per comodità di conto che R57 ed R58 da 10 kohm siano in parallelo rispettivamente a C30 e C40, otteniamo una impedenza di sorgente equivalente vista dai condensatori pari a circa 3,3 kohm e una frequenza di taglio di circa 4,8 MHz (in realtà qualcosa di meno, visto che dopo R57 e R58 c’è ancora un po’ di roba che, anche se a queste frequenze il finale nel suo complesso è ormai fuori gioco, contribuisce a sostenere ancora di qualcosa l’impedenza di ingresso, anche se probabilmente non tale da far risultare sui condensatori più di 4 kohm totali, che abbasserebbe la frequenza di taglio a circa 4 MHz). Il secondo paletto è invece costituito dalla rete C23, C25 ed R64 (C24, C26 ed R65 per il canale destro) che trasformano T5 (T6) in una sorta di filtro attivo di cui cercheremo ora di stimarne le caratteristiche. Per fare questo dobbiamo calcolare il guadagno in tensione dei due transistori.
In un collegamento a differenziale, anche quando non viene sfruttato come tale, il guadagno si calcola tenendo conto del fatto che l’impedenza di ingresso in emettitore di un transistor costituisce la resistenza di emettitore verso massa per l’altro. Nel nostro caso questa ”resistenza” è costituita dalla somma degli inversi della transconduttanza dei due transistori (cioè le loro Re interne) – i quali avendo volutamente correnti di riposo disuguali, esibiscono transconduttanze altrettanto disuguali, che vanno calcolate separatamente (la formula è quella classica: gm = Ic / 26 mV, dove Ic è la corrente di collettore – di questa formula, interessandoci le resistenze, useremo però la forma reciproca: Re = 26 mV / Ic). La somma delle due Re ci porta a una Re virtuale totale di circa 200 ohm; se con questa dividiamo la R di carico totale vista dai collettore di T5 e T6 otteniamo i loro guadagni in tensione. Il carico visto dal collettore di ciascuno è costituito in pratica dal parallelo di R64 (R65) con l’impedenza di uscita interna del collettore 1/Hoe, rintracciabile sui datasheet e che a queste correnti (0.35 mA per il transistor su cui stiamo lavorando e 0.21 mA per l’altro) vale tipicamente 40 kohm. Che ci porta ad una resistenza di carico effettiva di 8 kohm tondi che, divisa per i 200 ohm di Re totale trovati prima ci fornisce come guadagno un altro numero tondo, 40.
A questo punto, chi sta guardando lo schema elettrico, si domanderà giustamente: ”guadagno 40 in tensione per cosa, visto che dal collettore di T5 e T6 il segnale non va da nessuna parte?”. La risposta è: per funzionare da moltiplicatore di capacità, e precisamente di C23 e di C24 (più le capacità base collettore di T5 e T6 che grosso modo, per questo tipo di transistori, si aggirano attorno ai 2-3 pF a testa). In questo modo, i circa 7 pF totali presenti tra base e collettore di T5 e T6, si comportano come se fossero condensatori da 7 x 40 = 280 pF. E’ il famoso ”effetto Miller”, una gran rottura ad alta frequenza e in RF che però alle volte può essere usato a proprio vantaggio. E questa è una di quelle anche se, in tutta onestà, non mi è chiaro quale possa mai essere il vantaggio: per la rete di ingresso e per le frequenze di taglio scelte nei circuito, usare un condensatore da 280 pF o uno che ”appare” come tale, non cambia esattamente niente.
In ogni caso, arrangiato in questo modo, l’ingresso taglia le alte frequenze a partire da circa 38 kHz – supponendo per semplicità che in parallelo ai 280 pF trovati sopra finisca una resistenza equivalente di 15 kohm composta da R57-R58 (10 kohm) più la resistenza equivalente della rete di toni in flat (circa 5 kohm) ma, dipendendo anche dal tasso di retroazione applicato all’amplificatore, è possibile che sia anche consistentemente più alta. Ci torneremo sopra più avanti. Quel che ora conta sottolineare è che il moltiplicatore di capacità in questo circuito è esso stesso sottoposto a un limite di frequenza superiore: le resistenze di carico equivalenti da 8 kohm sui collettori di T5 e T6 sono in parallelo con i condensatori C25 e C26 che impongono un taglio a -3 dB a circa 600 kHz.
Anche qui non sono per nulla chiare le ragioni che hanno spinto il progettista a compiere queste scelte. Filtrato e limitato in alta frequenza, il segnale fa nel bene e nel male il suo ingresso nel finale vero e proprio, che comincia dall’emettitore di T9 (T11). Questo transistor ha per il resto del circuito un guadagno effettivo di R69/Re, ovvero 2200/200 = 11 ma il suo collettore è in realtà caricato anche da R68 da 3300 ohm che collegati in serie a R69, totalizza su 5500 ohm un guadagno pari a 27,5. Questo guadagno più elevato di quello effettivamente sfruttato, viene ancora una volta utilizzato come moltiplicatore della capacità tra base e collettore del transistor per limitarne la sua stessa banda passante. la capacità finale risulta essere pari a circa 69 pF che, in serie con R59 (R65), la più bassa resistenza (1.000 ohm) verso massa che vede sulla base, definisce la massima banda passante di T9-T11 – un discreto 2,3 MHz. Tra i concetti che sembrano guidare i passi del progettista di questo amplificatore, uno sembra emergerne abbastanza chiaro e definito: dove possibile la banda passante va limitata allo stretto necessario; nella fattispecie la massima banda passante del primo stadio è ridotta al passo di quella che presumibilmente è la massima banda passante dello stadio finale (che, per stadi di uscita a inseguitore di emettitore, dipende molto dal modo in cui vengono pilotati: coppie come i BD203-204, di caratteristiche ottime per l’epoca e discrete ancora oggi, possono sotto opportune condizioni eccedere il MHz di banda passante, sia pure solo momentaneamente). T9 e T11 amplificano rispettivamente il segnale sinistro e destro di 11 volte prima di consegnarlo al cosiddetto ”VAS” – Voltage Amplifier Stage che, come d’uso nella stragrande maggioranza degli amplificatori a transistor moderni, si assume l’onere di fornire quasi per intero tutto il guadagno ad anello aperto che verrà successivamente utilizzato per impostare la controreazione.
Nel nostro caso il ”VAS” vero e proprio è costituito rispettivamente per i due canali sinistro e destro dai transistori T12 e T13 mentre quelli che ”normalmente”, in virtù della posizione che occupano, svolgerebbero il ruolo di ”VAS” (cioè T14 e T15) svolgono in questo caso solo il ruolo di (abbastanza) complicata interfaccia di pilotaggio per lo stadio finale, il cui guadagno intrinseco in tensione è pari a un misero 2 – mentre la sua corrente di riposo, poco più di 12 mA, è quella che solitamente deve avere lo stadio che pilota direttamente una cascata di inseguitori di emettitore come quella usata in questo circuito. Cerchiamo ora di capire come funziona questo ”VAS” e se è valsa la pena complicarsi la vita con due stadi anziché usarne uno solo.
La struttura costruita attorno ai due BC557 (T14 e T15) serve soprattutto a consentire di usare come drivers dei transistori che NON sono nati per questa funzione ma che nondimeno hanno caratteristiche che fanno decisamente comodo (nel nostro caso principalmente un alto guadagno in corrente e un suo andamento molto lineare con le correnti di polarizzazione in uso). La struttura scelta consente di utilizzare tali transistor in tutta sicurezza riducendo (dimezzandola in questo caso) l’escursione di tensione loro richiesta e riducendo contemporaneamente la loro dissipazione (che in questo caso viene limitata a livelli sicuri anche per condizioni limite prolungate – ascolto in cuffia per esempio: se per i finali è un riposo lavorare quasi in assenza di carico sull’uscita, per il VAS vale esattamente il contrario!).
Il trucco impiegato – doppio bootstrap verso entrambe le polarità di alimentazione, intelligente ma non particolarmente nuovo, (2) è stato di recente ”recuperato” anche da Analog Devices come stratagemma per utilizzare i propri Op-Amps per ottenere – con le dovute attenzioni – escursioni di tensione in uscita superiori ai limiti consentiti imposti dalla loro massima tensione di alimentazione. Nondimeno è una scelta che tradisce anche l’anzianità del progetto di V7000, la cui data di nascita reale è sicuramente anteriore all’immissione in commercio di transistor drivers decenti come la serie BC301-304 o è quantomeno anteriore ad una stabilizzazione a livelli ragionevoli dei loro prezzi di vendita.
Il fatto che poi lo stesso progetto sia stato ”rinfrescato” con l’utilizzo di semiconduttori di produzione più recente (ed economica) rispetto a quella che si può supporre utilizzata in origine, non cambia un granché la situazione. La struttura di interfaccia tra VAS e stadio finale qui descritta si ”affaccia” a T12 e T13 apparendo a questi come un carico a corrente costante o, come tipico di questo utilizzo della tecnica bootstrap, come uno pseudo generatore di corrente costante, con impedenza di uscita molto elevata e tale da non costituire un fattore significativo nella definizione del massimo guadagno in tensione intrinseco del VAS, che appare in questo caso interamente determinato dall’inverso di Hoe dei BC547 utilizzati per T12 e T13.(3) Il che, se da una parte può far storcere il nasco a qualche purista, dall’altra consegue un ottimo risultato, assai più decisivo della linearità fine a se stessa: le distorsioni e la timbrica dell’amplificatore sono realmente indipendenti dalle condizioni di lavoro dello stadio finale vero e proprio e dal carico che vi è collegato.
Detto in altro modo, quale che sia il tipo di diffusore collegato, l’amplificatore tenderà per parte sua a suonare allo stesso modo con tutti quanti, la prima delle regole che occorre rispettare per ottenere un amplificatore ben suonante. A questo punto possiamo finalmente definire, con l’aiuto del datasheet del BC547, il guadagno intrinseco di questo VAS. Innanzitutto recuperiamo la corrente di collettore di T12 e T13: dalla tensione presente sulle resistenze R82 ed R85 (da 10 kohm) ricaviamo un bel 0,43 mA a cui corrisponde una Re virtuale di 60 ohm (notare come modesti cambiamenti delle correnti di correttore portino a variazioni notevoli di questo parametro: è questo un problema intrinseco alla fisica dei transistor bipolari, compensabile ma non eliminabile – ed è anche il motivo di fondo per cui uno stadio differenziale che non abbia le correnti di riposo uguali, come è nel nostro caso, dal punto di vista della linearità è sostanzialmente un differenziale sprecato). Per calcolare il guadagno intrinseco ci serve, oltre alla Re virtuale del BC547 anche la sua Hoe effettivamente esibita in questo circuito che, a causa della presenza di R69 (R71) da 2,2 kohm connessa tra base ed emettitore, tende a diminuire (cioè, inversamente, aumenta l’impedenza di uscita di T12 e 13) di un quantitativo che va definito con qualche calcolo. A tal proposito occorre tener conto che Hoe è composto di due termini, uno controllato dalla tensione collettore emettitore che rappresenta in sostanza il cosiddetto ”effetto Early”, e un altro controllato dalla retroazione interna al transistor (rappresentata dal parametro Hre).
Le variazioni del primo termine divengono importanti solo con correnti e tensioni di alimentazione consistenti e in genere precorrono un fenomeno autodistruttivo nei bipolari chiamato ”valanga secondaria” (second breakdown): nel nostro caso possiamo considerarlo costante. Il secondo termine invece dipende, oltre che dalla corrente di polarizzazione, anche dall’impedenza che il transistor ”sente” tra base ed emettitore: più è bassa e più il termine si riduce fin quasi ad annullarsi (il ”quasi” è costituito dalla resistenza intrinseca di base – rbb – che impedisce al transistore di vedere tra la base e l’emettitore un’impedenza pari a zero.
Tale resistenza, per i transistor che stiamo trattando, varia tra i 150 e i 200 ohm e caratterizza anche il minimo rumore intrinseco ottenibile dal dispositivo). In sintesi: supponendo assente ogni resistenza tra base ed emettitore, l’inverso di Hoe corrisponde, a 0.43 mA di Ic, a circa 60 kohm, composti da una componente ”fissa” pari a 165 kohm e una componente variabile governata da Hre pari a 93,25 kohm. Poiché inserendo una resistenza tra base ed emettitore cambia proprio il valore di Hre, cambierà di conseguenza anche quello della sua controllata. Vediamo ora come. In assenza di resistenze esterne tra base ed emettitore, ciò che il transistor ”sente” è la sola Hie intrinseca, che definisce anche il valore di Hre (Hie, nel nostro caso, vale circa 15 kohm). Aggiungendo una resistenza esterna, questa va evidentemente a collegarsi IN PARALLELO alla prima, abbassando il valore della resistenza equivalente ”sentita” dal transistor (e nel nostro caso non è mica una botta da poco, visto che si passa da circa 15 kohm a poco più di 1,9 kohm!). Risparmiandovi qualche conto: Hre passa dal valore originale di 6,5/10.000 al valore in circuito di circa 0.83/10.000 che a sua volta cambia la componente da essa controllata di Ro da 93.25 kohm a circa 725 kohm, passando da componente maggioritaria a minoritaria.
Questa componente, posta in parallelo alla componente ”early” da 165 kohm conduce ad una impedenza di uscita effettiva di T12 e T13 pari a circa 134 kohm, su cui la transconduttanza del dispositivo (cioè l’inverso di Re virtuale trovato prima) svilupperà L’intero guadagno in tensione dello stadio2-3. Tenetevi forte: il quadagno in tensione di questo unico stadio è pari 2233, che arrotondiamo per prudenza a 2200 e che moltiplichiamo per gli altri due quadagni in tensione di questo finale, 11 e 2, ricavando il guadagno totale ad anello aperto – un fiammante guadagno di tensione di 48.400 corrispondenti a circa 94 dB.(4) Di questo amplificatore si può dire tutto tranne che sia a bassa controreazione e sarebbe da far ascoltare a coloro che hanno in orrore la retroazione non fosse altro che per far capire che, forse, i problemi stanno da un’altra parte e non nella controreazione in quanto tale… T12 e T13. oltre a contribuire per gran parte del guadagno in tensione dell’amplificatore, definiscono per effetto Miller anche la sua massima banda passante ad anello aperto. E lo definiscono unicamente in base alla propria capacità base-collettore, fatto che fa sorgere alcune perplessità visto che, esistendo una precisa dipendenza tra capacità della giunzione base-collettore e la sua tensione, emerge la possibilità (solo in parte scongiurata dal fatto che viene dimezzata dal circuito seguente) di una banda passante dipendente dall’escursione in tensione del VAS… Una cosa non proprio bellissima che va ad aggravare le conseguenze delle distorsioni da “effetto varactor”, specifico dei semiconduttori basati su giunzioni. In ogni caso, prendendo per buoni e stabili i 2 pF di Cbc che il mio datasheet accredita in queste condizioni di lavoro al BC547, la banda passante ad anello aperto equivale alla frequenza di taglio della rete costituita da R69 (R71) con in parallelo una capacità virtuale pari alla Cbc moltiplicato per il guadagno del VAS, ovvero una discreta sberla pari a 4,4 nF circa, da cui sortisce un fiammante 16.5 kHz.(5) Direi che il progettista era perlomeno al corrente delle tesi del signor Matti Otala e ne avesse ben masticato e digerito il contenuto, andando pure oltre quando gli serviva.
Questo giustifica anche alcuni funambolismi e l’adozione di uno schema ”insolito” per conseguire i suoi obiettivi: uno schema normale, alla ”Self”, con una banda passante ad anello aperto di questo genere semplicemente esploderebbe al momento dell’accensione. Punto. Diventano a questo chiare le ragioni di tutte le attenzioni al limitare il passaggio alle altissime frequenze e pure l’uso apparentemente incongruo di ferriti in alcuni punti del circuito del finale: con bande passanti che, una volta chiuso l’anello di retroazione, possono ”sfondare” il MHz, tali precauzioni sono assolutamente indispensabili. Ora che abbiamo tutti gli elementi per farlo, possiamo finalmente valutare il comportamento dell’amplificatore ad anello chiuso.
Come stabilito prima, l’amplificatore guadagna 94 dB ad anello aperto, che è in assoluto un valore piuttosto elevato e abbastanza prossimo a quello di molti operazionali integrati. Il guadagno ad anello chiuso invece è stabilito dal rapporto tra le resistenze R75 (R77) da 47 kohm ed R59 (R63), il quale risulta pari a Av = 1+(47k/1k) = 48, ovvero circa 34 dB che, sottratti ai 94 trovati in precedenza portano ad un 60 dB tondo di guadagno di anello, ovvero 1.000 volte).(6)
Questo fattore è quello che il circuito usa al suo interno per ”spianare” ogni genere di irregolarità, compresi i residui di distorsione di incrocio e i ronzii presenti sulle linee di alimentazione, gli unici elementi ad aver davvero bisogno di una padellata in testa di questa entità. Tutto il resto ovviamente se ne giova ma almeno per un fattore, la banda passante, Sant’Antonio ha come al solito esagerato: lasciato allo stato brado la banda passante dell’amplificatore dopo lo stadio di ingresso sarebbe un brillante quanto pericoloso 16 MHz, ovvero un qualcosa che, se il segnale fosse prelevato dai piloti BC637 e BC638, anziché dagli emettitori dei molto più lenti BD203 e BD204, farebbe assomigliare questo amplificatore più a uno stadio video che a uno stadio audio. E poiché questo non è, vanno presi dei provvedimenti, ovvero inserite compensazioni che riportino la banda passante a livelli ragionevoli. Vediamo quali sono e quali tagli attuano.
La prima di queste, ancora fuori dall’anello di retroazione, è costituita dalla capacità C35 (C36 per l’altro canale) da 33 nF che, insieme al parallelo di R94 ed R107 (R104 ed R108) costituiscono un secondo taglio che, a partire da circa 44 kHz, fa calare il guadagno aperto non più di 20 dB per decade ma di ben 40 dB per decade, fatto che riduce la banda passante ad anello chiuso da oltre 16 MHz al molto più ragionevole 1 MHz circa.
Il tutto però comporta la penalità di ridurre il margine di stabilità al di sopra dei 40 kHz con la conseguente necessità di verificare che, a queste frequenze, i moduli e gli argomenti dell’impedenza dei diffusori siano quanto più possibili tranquilli.
Significa anche che è vietatissimo rimuovere la rete di Zobel sull’uscita (sia la parte induttiva che quella capacitiva): in questo caso l’illusione di far ”suonare” meglio l’amplificatore si ritorcerebbe in un tutt’altro che illusorio ”fumare meglio” da parte dello stadio finale.
Uomo avvisato… anche per quanto riguarda cavi pitonati e simili: il cavo deve essere il cavo più normale del mondo, con resistenza, capacità e induttanza distribuite quanto più ridotte possibili soprattutto al di sopra della banda audio.
Oltre all’impiego della compensazione a doppia pendenza (che testimonia indirettamente quanto il progettista fosse, ”Matusalemme” o no, un signor progettista), vi sono altre due compensazioni di rifinitura che contribuiscono a ”rabbonire” ulteriormente i pericoli di instabilità del circuito: una locale su T14 e T15 e una generale inserita in controreazione semigenerale (vedremo tra poco il motivo del ”semi”). C37 ed R87 (C38 ed R93) svolgono sulla giunzione base-collettore di T14 e T15, insieme alle resistenze R81 (R84), lo stesso lavoro che fanno le ferriti in serie agli emettitori di T19 e T21 (T22 e T23): impediscono a questi transistori di mettersi ad oscillare per conto loro.
Ciò viene ottenuto limitando progressivamente al crescere della frequenza il guadagno interno dello stadio a partire da circa 4 kHz fino ad arrivare ad un minimo (inferiore all’unità) alla frequenza di 3.4 MHz (cifre da prendere con il beneficio del dubbio perché il funzionamento di questo stadio non mi è proprio chiarissimo). Infine, l’ultima compensazione agisce all’interno della rete di controreazione, escludendo intelligentemente da essa lo stadio di uscita, che alle altissime frequenze provocherebbe solo problemi. Essa è composta dalla rete C33 ed R78 (C34 ed R79) che definiscono il roll-off ad alta frequenza, CON LA CONTROREAZIONE APPLICATA, dell’amplificatore così come lo abbiamo in precedenza definito a partire da T9 (T11). Il roll-off inizia a circa 332 kHz e si ferma, grazie all’intervento di R78 (R79) a circa 3,4 MHz, quasi esattamente una decade di frequenze più sopra. Riguardo quest’ultimo punto vale la pena di spendere due parole sui condensatori da 2,2 nF posti in parallelo all’uscita cuffia e all’uscita altoparlanti: questi condensatori nonostante siano sull’uscita sono a protezione nei confronti di quel che può entrare (principalmente interferenze) nell’amplificatore attraverso queste prese e andare a pasticciare, attraverso la sua controreazione, sulla stabilità del finale.
Questa è in effetti sia una precauzione salutare in sé (tutte le uscite di un sistema sotto retroazione sono allo stesso tempo anche degli ingressi impropri, cosa di cui va tenuto conto quando il sistema esce dalla banda passante “protetta” dalla retroazione stessa), sia una precauzione obbligata proprio dall’inusuale banda passante intrinseca del finale che, lasciato a sé stesso, tenderebbe a diventare facilmente instabile in tutte le situazioni in cui si dovesse trovare a lavorare su carichi elettricamente ancora “vivi” a frequenze ultrasoniche o addirittura già entro il campo delle onde lunghe.
V7000 – Le alimentazioni
L’alimentatore di questo apparecchio, apparentemente banale e sicuramente tutt’altro che rivoluzionario, ha tuttavia alcune peculiarità che meritano di essere commentate. Del trasformatore a doppia colonna che, come prestazioni, rappresenta un po’ il ”nonno” dei toroidali, oggi usati fin sopra i capelli ma allora costosissimi, si può solo dire che è un buon trasformatore, correttamente dimensionato per fornire senza problemi le correnti che servono all’amplificatore (che è concepito per lavorare su 4 ohm). Fine della storia.
La vera storia incomincia dal layout sullo stampato. Anche se sullo schema elettrico non è molto evidente, sulla piastra del circuito stampato vi sono, tra gli attacchi per i cavi del trasformatore e l’ingresso del ponte rettificatore, due sezioni ben distinte di filtraggio disturbi di cui la prima include pure i lunghi tratti di circuito stampato che la collegano alla seconda (e all’ingresso del raddrizzatore). È in questa sezione che si trova il famoso ”cilindretto” che collega elettricamente il telaio alla massa di circuito stampato, confermando che, nel contesto, il telaio è considerato un componente ad alta frequenza, che con la bassa frequenza non deve avere direttamente nulla a che spartire. Questa prima sezione, precedente i tratti di stampato che la collegano al raddrizzatore, collega le fasi attive del trasformatore alla massa del telaio attraverso condensatori ceramici che, per il loro valore (8,2 nF – si tratta di C56, C57 e C58), possono essere efficaci solo a radiofrequenza.
Lo stesso discorso vale per i tratti di stampato verso il raddrizzatore che sono a tutti gli effetti piccole induttanze di filtro solo apparentemente ”parassite” ma in realtà volute e ”costruite” ad hoc dal progettista. L’alimentatore torna ad essere ”normale” a partire dai condensatori C51 e C52 da 0,15 uF che sono dei normali condensatori di snubber usati per ”rallentare” i rettificatori e diminuire l’ampiezza dei disturbi da essi generati durante la commutazione. Dopo il rettificatore seguono i due ERO da 10.000 uF che, livellando gli oltre (oggi, con la rete a 230 Volt) 18+18 Volt RMS rettificati, provvedono ad alimentare i finali con 25+25 Volt continui. Dando per scontato che il trasformatore non si sieda, l’alimentatore dovrebbe essere in grado, con i condensatori di livellamento di cui è equipaggiato e con i finali eroganti piena potenza su entrambi i canali, di mantenere il ripple contenuto, su ciascun ramo di alimentazione, entro 1 Volt picco-picco.
Un buonissimo risultato, che però non deve far dimenticare i limiti di tenuta di questo apparecchio: pur essendo capace all’occorrenza di tirar fuori dei buoni colpi di reni, è e rimane un amplificatore nato per un TRANQUILLO utilizzo casalingo: se a qualcuno gli gira l’uzzolo di utilizzarlo come amplificatore da festa o pseudo-discoteca casalinga, metta in conto anche una più che probabile fumata. Infine, l’alimentatore del finale alimenta anche i vu-meter a LED e la circuiteria associata (un LM358 e un integrato dedicato al pilotaggio dei LED – uno dei tanti all’epoca presenti sul mercato). Se l’alimentatore per il finale è a partire dal rettificatore un normale alimentatore, lo stesso non si può proprio dire dell’alimentatore per il preamplificatore. In questo caso D18, D19 (1N4007) e i due condensatori C53 e C54 (220 uF ciascuno, anche se di differente tensione di lavoro) realizzano un duplicatore di tensione che porta ad avere, dopo alcuni cicli di avvio, circa 67-68 Volt (con 230 Volt di rete: con i vintage va sempre tenuto conto che sono nati in un’epoca in cui l’unificazione delle tensioni di rete europee era ancora di là da venire e questo potrebbe comportare qualche problema al momento della riaccensione – spesso solo qualche lampadina bruciata… ma può succedere di peggio con apparecchi già ”tirati” per conto loro).
Questi 68 Volt vengono filtrati e stabilizzati a circa 35-36 volt dalla rete composta da R132, R134 ed R137, dai condensatori C47 e C55 e dallo zener da 36 Volt D17 e bufferizzato da T28 (BD825) attraverso R131. Questo circuito può sembrare poca cosa per alimentare un preamplificatore ma in realtà, per quello che interessa veramente in campo audio (la pulizia dai disturbi) fornisce prestazioni confrontabili con quelle dei regolatori integrati e soprattutto fino ad alta frequenza, ben oltre la banda audio. Con tutta probabilità la relativa trascuratezza con cui il progettista sembra aver trattato il preamplificatore rispetto al problema delle alte frequenze è dovuto alla fiducia nella qualità di questo piccolo alimentatore: un altro segnale che il misterioso problema temuto dai progettisti Grundig viaggia proprio sulle linee di alimentazione dei circuiti. Proviamo a trovare i ”numeri” di questo stabilizzatore – filtratore di tensione. Anzitutto va precisato che, ai fini del ripple, un duplicatore di tensione e mezza semionda va considerato come un circuito che funziona a 25 Hz anziché ai 50 Hz di un rettificatore a semionda normale.
Questo perché i duplicatori di tensione sono da considerarsi vere e proprie ”catene di secchi” di tensione che vengono riversati in modo da sommare le cariche dal primo all’ultimo condensatore. Il riversamento avviene a frequenza di rete (che va in ogni caso filtrata) mentre il culmine del riempimento lo si raggiunge dopo un tempo pari al ciclo di rete moltiplicato per il numero di volte in cui viene incrementata la tensione (nel nostro caso due). La prima cella di filtro è costituita da R134 da 3,9 kohm e da C55 da 47 uF, questa cella attenua i 25 Hz di 3.900/135.5, quasi 29 volte (che corrisponde all’incirca proprio a 29 dB). A questo segue il filtraggio della seconda cella (indipendente dalla frequenza) operato da R137 da 1 kohm e dallo zener da 36 Volt ZPD36. Per capire quanto filtra ci serve sapere quanta corrente scorre attraverso lo zener, in modo da poter rintracciare la sua resistenza dinamica. La corrente è presto trovata: (67-36)Volt/(3,9+1)kohm = 6.3 mA circa, a cui togliamo quasi un mA da destinare per il pilotaggio di T28 e ci teniamo 5.5 mA per tenere acceso lo zener.
I datasheet non brillano molto per chiarezza; tuttavia una valutazione spannometrica sui grafici è possibile farla, ottenendo per la resistenza dinamica di questo zener un valore di circa 30-35 ohm. Ci prendiamo per prudenza il più alto, ottenendo, per l’attenuazione del ripple un valore pari a R137/Rz = 1000/35 = 28.6 che arrotondiamo a 29, che corrispondono, come prima, a 29 dB che sommati a quelli ottenuti ci danno 58 dB. Non malaccio, tenendo conto che abbiamo ancora un’altra cella composta da R132 (1 kohm) e C47 (47 uF) che, a 25 Hz, attenua di un altro 1000/135.5 = 7.4 circa, corrispondenti ad una manciatina di dB (17 dB circa) che portano il nostro bottino a ben 75 dB di SVR (a 25 Hz, quindi ben suscettibile di aumentare salendo in frequenza), direttamente confrontabile con quello del solo 7805, mentre gli altri peggiorano al salire della tensione di lavoro). Un gran bel risultato. tenendo conto che 25 anni fa gli IC integrati regolatori di tensione ancora non li regalavano o quasi come si fa oggi. Abbiamo a questo punto tutti gli elementi per stimare il ronzio presente su C54 da 220 uF.
Per far questo dobbiamo sommare le correnti consumate dallo stabilizzatore stesso e quelle dal preamplificatore alimentato da questo stesso stabilizzatore. Il consumo totale del pre possiamo stimarlo in circa 35 mA massimi per entrambi i canali in funzione, mentre la rete di filtro a zener e polarizzazione di T28 sappiamo consumare 6,3 mA che portano il totale 41,3… che arrotondiamo per scrupolo a 45 mA. Con qualche calcolo che vi risparmio, salta fuori che l’impedenza dell’alimentatore ai capi di C54, a 25 Hz, corrisponde suppergiu a circa 20 ohm, che moltiplicati per i 45 mA di assorbimento forniscono un bel 0,9 Volt picco-picco che, dopo essere stati massacrati dai 75 dB di SVR trovati prima ci danno circa 160 microvolt picco, picco… assolutamente un non-problema, soprattutto se si tiene conto del fatto che ciascuna sezione del preamplificatore ha sue proprie celle di filtro che attenuano il ripple di altre 5-10 volte.
Un discorso a parte va fatto però per lo stadio phono che, già abbastanza malconcio di suo, appare un po’ esposto anche sotto il profilo del SVR, con un ronzio di fondo che, in assenza di segnale, è probabilmente ben udibile anche se al momento non saprei proprio stimare quanto.
Qualche conclusione
Alla fine di tutta questa carrellata di analisi, vale la pena di fare un po’ il punto della situazione per cercare di capire qualcosa delle idee che frullavano in testa ai progettisti che lavoravano alla Grundig.
Ripercorrendo l’esame di questo stadio finale si ha la netta impressione che si siano voluti perseguire tre obiettivi:
1) Amplificare il segnale audio (ovviamente!);
2) ”Zittire” attivamente tutte le interferenze che avrebbero potuto corrompere il segnale nel campo che va dai 40 kHz ad almeno 600 kHz;
3) Rendere il circuito sordo a tutti i segnali superiori a qualche MHz.
Comunque sia, sino a questa frequenza è permesso che la controreazione aiuti a rendere l’apparecchio sordo alle interferenze; oltre essa viene invece annullata e l’onere di sopprimere i segnali al di sopra, grosso modo, dei 3-5 MHz è lasciato a carico dei singoli stadi del circuito.
È interessante notare come il preamplificatore, ridotto all’osso ma soprattutto provvisto di una alimentazione stabilizzata, differentemente dal finale abbia goduto solo di attenzioni minime rispetto alle possibili ”invasioni” di segnali ultrasonici o RF.
Di fatto, a parte rafforzare la schermatura per gli ingressi a cui possa eventualmente essere collegato un tuner, e a parte il filtro di ingresso a circa 50-70 kHz posto all’ingresso del primo stadio, non si può dire che, per la parte pre del V7000 in Grundig ci abbiano sacrificato il bene del sonno, anzi!.
Veniamo allo stadio finale che, in un certo qual modo, è in realtà ”doppio”: vi è lo stadio finale ”normale” che funziona con il segnale audio finché questo c’è e vi è la coppia di driver (i BC637 e BC638 che altri non sono che i noti BD137 e BD138 reincapsulati in un altro case) che invece tende a funzionare come stadio finale ”ad alta frequenza” in grado di assicurare uan SVRR a frequenze ultrasoniche relativamente più consistente di quanto non sia ottenibile nella stessa banda di frequenze su altri finali più convenzionali.
Per il resto lo stadio finale è senza storia né gloria; è soltanto uno dei tanti simmetria complementare che si potevano fare allora come oggi scegliendo, tra quelli economici, i transistori migliori che riusciva a passare il convento.
Piercarlo Boletti
(aggiornato al 31 ottobre 2012)
NOTE 1 – Sullo stadio phono del V7000 ho avuto modo, in risposta al commento di un lettore, di precisare alcuni aspetti che in effetti ne denunciano, per dire il meno, la sciatteria con cui è stato progettato, quasi ”tanto per mettercelo”. Ne riporto qui la parte tecnicamente più significativa:«Suonare bene SOGGETTIVAMENTE non vuol dire anche lavorare bene OGGETTIVAMENTE. L’equalizzazione dello stadio phono deve, se vuole essere fatta con il rigore che meriterebbe, includere alcune ben definite costanti di tempo (standardizzate negli anni 60 dalla RIAA, con qualche ritocco secondario apportato nei decenni seguenti) che, se rispettate, permettono di equalizzare specularmente le equalizzazioni apportate in sede di incisione, ottenendo così una risposta in frequenza le cui non linearità residue dipendono unicamente dalla qualità della testina di lettura.
Nel V7000, come in altri apparecchi adottanti circuiti phono così (mal)ridotti all’osso, non solo questo non viene conseguito ma è anche impossibile farlo correttamente sull’intera banda audio (principalmente perché la rete di equalizzazione dipende troppo, all’estremo basso della banda audio, dalle impedenze interne dei transistori).
Lo standard RIAA specifica tre costanti di tempo principali, tassative, più altre due opzionali di adattamento (di cui una, molto recente, in realtà attiva solo in banda ultrasonica). Le costanti ”obbligatorie” sono 3180 microsecondi (50 Hz), 318 microsecondi (500 Hz) e 75 microsecondi (2120 Hz circa).Nel V7000 la situazione è invece la seguente: la prima costante non è realmente determinabile in quanto dipendente dai parametri reali di lavoro dei transistor (ma è anche, per fortuna, la meno influente sulla riproduzione); la seconda corrisponde a 221 microsecondi (720 Hz) mentre la terza vale 84.6 microsecondi (1880 Hz), differenze rispetto ai valori standard che comportano delle enfasi ben marcate della risposta in frequenza risultante che, con tutta probabilità, sono le vere responsabili di gran parte della piacevolezza soggettiva della riproduzione.
Questi scostamenti infatti finiscono per esaltare di circa 3-4 dB la risposta alle basse frequenze rispetto alle medie e, allo stesso tempo, attenuare della stessa quantità quelle ad alta frequenza – di fatto inserendo una sorta di ”controllo di tono fantasma” con i bassi regolati a una tacca in più rispetto alla posizione neutra e gli alti regolati invece a una tacca in meno».
Dal tempo di queste precisazioni Massimo Ambrosini, nella rubrica prove del suo sito, ha ritenuto opportuno aggiungere anche quella della risposta degli stadi phono tra cui, naturalmente, non poteva mancare quella del Grundig V7000 che viene dichiarata “perfetta” a meno della sola “correzione dei controlli di toni” che viene (piuttosto comodamente direi…) invocata per quasi tutti i Grundig recensiti.
Sul fatto che fosse tutt’altro che perfetta non avevo alcun dubbio (non poteva esserlo perché semplicemente era volutamente “truccata” per ottenere una risposta “piaciona” piuttosto che corretta, la quale era tutto tranne che in cima alle preoccupazioni di chi in Grundig definiva i profili dei prodotti da porre in vendita); tuttavia, di fronte ad una possibile “prova” del contrario, mi son sentito in dovere di riesumare questo “cold case” per rivedere la questione una volta per tutte per poi restituire il “defunto” al suo giusto e duraturo (spero) riposo elettronico.
A differenza di Ambrosini ho preferito ad una prova pratica piena di incognite (la prova della RIAA invversa, nonostante le apparenze è tutt’altro che affidabile e a prova di bomba già al simulatore circuitale e nella realtà il suo responso è poco più di una “opinione elettronica” espressa da chi effettua la prova stessa) simulare due varianti distinte del circuito impiegato nel V7000, una col circuito di equalizzazione originale e l’altra con un’equalizzazione reimpostata con le corrette costanti di equalizzazioni previste originariamente dalla RIAA. Qui sotto i loro schemi:
Il generatore di ingresso è dimensionato in modo da “Incorporare” la resistenza da 470 ohm della cella anti-RF che nel circuito reale del V7000 è interposta tra le RCA di ingresso e l’ingresso effettivo del preamplificatore. Nella figura sottostante si può vedere il responso di entrambi i circuiti riuniti in un unico grafico:
Entrambe le varianti includono anche l’inseguitore di emettitore che nel V7000 interfaccia gli ingressi con la circuiteria seguente (non riportata) che implementa il controllo di volume e il loudness e che, quando l’ingresso phono è selezionato, è a tutti gli effetti parte del circuito di uscita di quest’ultimo.
La traccia arancione rappresenta la risposta originale dello stadio phono del V7000 all’uscita del circuito simulato (USCITA-1), ovvero, nella realtà, nel punto in cui il segnale viene consegnato al potenziometro di volume. La traccia azzurra (USCITA-2) rappresenta, a parità di tutto il resto del circuito, la risposta RIAA che si sarebbe dovuta ottenere qualora si fosse implementata una equalizzazione phono corretta anziché “personalizzata”. I coefficienti di moltiplicazione a fianco delle intestazioni delle due curve (12.83 per USCITA-1 e 14.71 per USCITA-2) rappresentano i fattori utilizzati per normalizzare le due curve per passare insieme lo zero decibel a 1 khz; i valori differenti corrispondono a guadagni effettivamente diversi, con la versione “a RIAA corretta” lievemente meno sensibile: a parità di uscita la versione corretta richiede un segnale di ingresso 1.15 volte maggiore (+1.2 dB) rispetto a quella originale.
1 –Le discrepanze delle due curve sono “sufficientemente evidenti” da non necessitare di ulteriori commenti; mi limito soltanto a sottolineare come, rispetto alla norma RIAA l’esaltazione del segnale equalizzato a 100 Hz sfiori i +4 decibel mentre l’attenuazione a 10 kHz sfiori a sua volta i -2 dB, valori tali da far pensare che la “tacca di correzione” richiesta ai controlli di tono per ridurre le differenze entro limiti accettabili sia decisamente robusta…
2 – Come ho avuto modo di apprendere successivamente alla stesura originale di questo articolo, queste soluzioni circuitali, negli anni sessanta e settanta, quando ancora non erano disponibili transistori che fossero allo stesso tempo ad alta tensione e ad alta sensibilità erano molto usate da diversi costruttori europei. Tra questi anche Revox, come riportato da Diego Nardi nella sua recensione sull’amplificatore A50 – Costruire Hi-Fi, n. 158, giugno 2012.
3 – Su questo punto, tra le risposte sollecitate dai commenti di un lettore, è riportata una precisazione-correzione che merita di essere qui riportata integralmente: Luigi – «Un amico che di elettronica ne capisce più di me mi faceva notare una cosa, tu scrivi: ”La struttura di interfaccia tra VAS e stadio finale descritta adesso si ”affaccia” a T12 e T13 apparendo a questi come un carico a corrente costante o, come tipico di questo utilizzo della tecnica bootstrap, come uno pseudo generatore di corrente costante”. E qui sorgono i dubbi: per simulare un generatore di corrente costante il segnale riportato dal bootstrap dovrebbe essere in fase ma in questo caso sull’emettitore del T14(T15) viene riportato un segnale in controfase! Sto prendendo un abbaglio?»Piercarlo – «No, non hai preso un abbaglio; l’ho invece preso io confondendo due tipi diversi di bootstrap! Quello sull’emettitore di T14-T15 non serve a far comportare questi come dei generatori di corrente (a questa funzione ci pensa già il bootstrap connesso al collettore di questi transistori) ma più semplicemente a ridurre la loro escursione in tensione e quindi la loro dissipazione e i rischi di finire in valanga secondaria. Il tutto, evidentemente, perché all’epoca del progetto arrangiare un transistor di segnale in modo che supplisse alle funzioni di un driver di media potenza (e con più alta Vce) anziché impiegare direttamente quest’ultino, aveva ancora la sua convenienza economica.Sul VAS T12-T13 il circuito appare in effetti ”debostrapizzato” se mi perdoni il termine: l’effetto è infatti quello di diminuire e non aumentare l’impedenza di carico. Il risultato, che al momento di scrivere l’articolo mi era completamente sfuggito è quello di ottenere per T12-T13 un carico sì ancora ad alta impedenza ma con un comportamento più resistivo rispetto a quello di un generatore di corrente, effettivo o simulato che sia.E questa è un’altra raffinatezza di questo circuito che all’inizio mi era totalmente sfuggita. Il carico resistivo in effetti equivale al parallelo delle resistenze R94-R107 – e corrispondenti R104-R108 sull’altro canale – che moltiplicate per il beta di T14-T15 (un buon 200 almeno) fanno 110*200 = 22 kohm minimi, la stessa che avrebbe fornito lo stadio finale MA senza le magagne del carico che questo avrebbe trasferito sul VAS se non fosse stato isolato da esso dall’azione di T14-T15!» – (seguono ringraziamenti per l’errore segnalato)4 – Come precisato nel mio commento di risposta all’osservazione postata da Luigi, al momento della stesura dell’articolo originale sono qui incorso in un errore macroscopico, che in pratica consiste nel non aver tenuto conto, nel computo del carico di T12 e T13, delle impedenze riflesse dai ”buffer” T14 e T15. Queste impedenze, corrispondenti grossomodo al parallelo delle resistenze che fanno capo agli emettitori di T14 e T15 moltiplicate per il beta medio di questi ultimi (almeno 200 a una Ic superiore ai 10 mA), forniscono un contributo complessivo di 22 kohm che finiscono in parallelo alle altre componenti già individuate, dominandole a tutti gli effetti.Pertanto il guadagno di questo stadio non sarà più di 2233 come erroneamente scritto qui di seguito ma un ben più modesto 295. Questo guadagno, moltiplicato per 22 ci da un totale ad anello aperto di circa 6490 volte, ovvero circa 76 dB e non 94 dB come erroneamente calcolato in precedenza. Una riduzione che però è soltanto intrinsecamente benefica sia per l’aumento della stabilità del circuito sia indirettamente per il fatto che il carico di lavoro di T12-T13 è ora in effetti di natura molto più ”resistiva” e lineare del precedente – Non quanto lo sarebbe stato un carico effettivamente costituito da una resistenza ”doc” ma sicuramente più vicino ad esso rispetto alla situazione descritta in precedenza. 5 – Sempre in virtù delle correzioni sollecitate dalle osservazioni segnalate alla nota (3), la frequenza corretta è di circa 84 kHz, valore che in pratica si ”rimangia” un po’ della stabilità guadagnata con la diminuzione del guadagno ad anello aperto del sistema ma che in effetti migliora le sue capacità di reiezione nei confronti dei segnali ultrasonici – cioè uno degli obiettivi primari che si era posto il progettista di questo amplificatore 6 – In realtà i dB di guadagno di anello sono solo 46 (corrispondenti a 200 volte anziché 1.000); questo tuttavia non inficia la sostanza del discorso che segue.
Consigliamo la lettura dell’originale articolo al seguente link:
Il sito di Piercarlo è da mettere nei “preferiti” nel nostro Browser.
Se Piercarlo leggesse questa pagina lo saluto e lo ringrazio pubblicamente per quelle volte che si è prodigato ad aiutarmi quando gli ho chiesto consigli. L’articolo si commenta da solo, è un grande. Paolo
Un tributo ad una persona che non si è limitata a dare un parere ma ha fatto una lucida analisi di quali siano state le logiche progettuali e costruttive Grundig.
Un articolo che dovrà essere sempre citato quando si sentono discorsi strani e saltano fuori i “segreti” e i “misteri”. Chi si ritiene depositario della verità assoluta, pensando che gli “altri” siano degli ignoranti, è bene che si ricreda. Esistono tecnici preparati che studiano e divulgano.
Ogni problema legato all’alta fedeltà deve essere affrontato con metodo.
Trovare altre strade di messa a punto degli impianti, se non partono da una attenta e precisa messa a punto elettronica degli apparecchi, sono solo palliativi tipici delle persone pressappochiste nell’approccio ai problemi…
Ho avuto già modo di ringraziarlo in altri lidi. Se non l avesse visto, approfitto per rifarlo qui. Piercarlo sei un VERO tecnico. Grazie di esistere
marco
Anche se spesso non considerato un vero grudig (ma allora anche il pre 7500)
devo dire che suona molto bene con le mie 400…